di Antonio Lucio Giannone
Nell’Introduzione a Le parole sono pietre (1) Carlo Levi chiarisce che questo libro non era stato “concepito in partenza con una sua struttura narrativa”, né era “nato da uno schema preordinato, o da una intuizione unica e fondamentale”, come le sue due precedenti opere, Cristo si è fermato a Eboli e L’orologio, ma era più “semplicemente” il “racconto di tre viaggi in Sicilia e delle cose di laggiù, come possono cadere sotto l’occhio aperto di un viaggiatore senza pregiudizi” (p.12). In effetti il libro, pubblicato nel 1955, si compone di tre lunghi reportages, i primi due già apparsi in periodici tra il 1951 e il ’52, il terzo inedito composto nel ’55, i quali derivano da altrettanti viaggi compiuti in quegli stessi anni dallo scrittore in Sicilia (e infatti il sottotitolo è Tre giornate in Sicilia).
Questi tre scritti rientrano dunque in un preciso genere giornalistico-letterario, il reportage appunto, il resoconto di viaggio, genere al quale appartengono anche i successivi libri di Levi, dedicati all’Unione Sovietica (Il futuro ha un cuore antico, 1956), alla Germania (La doppia notte dei tigli, 1959), alla Sardegna (Tutto il miele è finito, 1964). Si tratta di un genere che ha avuto, com’è noto, grande fortuna nel Novecento, in cui l’intento informativo e documentario (e a volte, come in questo caso, anche di testimonianza e di denuncia) va di pari passo col gusto del pittoresco e del “colore locale”, col piacere di abbandonarsi alle “cose viste”, di ojettiana memoria (2).