di Antonio Devicienti
Dichiarerò immediatamente l’impossibilità per me di guadagnare la necessaria distanza dal libro di Antonio Prete Album di un’infanzia nel Salento (Bollati Boringhieri, Torino, novembre 2023) perché, da Salentino, mi sento profondamente coinvolto e, con le dovute, oggettive e necessarie differenze, è come se l’autore avesse raccontato anche la mia infanzia salentina.
E l’infanzia narrata nel libro è, tra l’altro, la storia di un apprendere suoni, colori, sapori, posture del corpo e della mente che mi appaiono peculiari di un Salento anteriore, però, alla cosiddetta globalizzazione. L’identità salentina (mai escludente, mai contrapposta ad altre identità, mai sospettosa nei confronti di altre provenienze) è così ben delineata da farsi lingua e corpo riconoscibilissimi.
Le parole del dialetto (sia quello griko che quello romanzo) punteggiano come stelle polari il libro di Antonio Prete in cui non a caso indimenticabili sono proprio i cieli notturni magnificati dal buio delle campagne o visibili malgrado le luci (ancora non eccessive, bisogna dire) dei paesi e commoventi sono le pagine dedicate alla madre, alla sua voce, ai suoi racconti (voce che, in qualche modo, sembra modularsi attraverso l’intero libro): la volta stellata è immagine e metafora della bellezza di un cosmo che è spazi infiniti e rapporti parentali e amicali, spazi sonori e spazi della visione (vicoli nell’ora meridiana, campagne di terra rossa, stanze raccolte in una veglia funebre o in un pranzo di famiglia, dune sabbiose, strade bianche tracciate tra gli oliveti…)
I nomi e certi sostantivi veramente colmi di substantia sia memoriale che fisica (Copertino, l’amato paese natale di Antonio Prete, Gallipoli, Otranto, Leuca e in ultimo Lecce) (i due mari, lo Jonio e l’Adriatico, l’isoletta di Sant’Isidoro raggiunta a nuoto in indimenticabili estati) (le masserie e i muretti a secco) (gli olivi, i fichi, gli eucalipti, i pini) (le feste: San Martino, il Natale, la Pasqua, la festa consacrata a San Giuseppe da Copertino) (i cibi tipicamente salentini immancabilmente di tradizione contadina) (gli animali, creature amate e dotate di una loro ancestrale sapienza, francescanamente capaci di parola e di ascolto) costituiscono l’amorosa filigrana di testi che, sostenuti da una scrittura elegante e umanamente profondamente partecipe e commossa, potrebbero essere immaginati come fotografie in forma di parole (si pensi al titolo del libro), ma che sono anche l’itinerario memoriale capace di spiegare passioni e scelte sia di vita che professionali.
Desidero manifestare pubblicamente la mia gratitudine nei confronti di Gianluca Virgilio che ormai da un bel po’ di tempo accoglie i miei contributi.