di Antonio Devicienti
Questi segni (oppure forme, ombre), pochi e leggerissimi, posseggono la potenza dell’allegoria, ché il Kaspar Hauser di Sophie Ko è allegoria dell’esistenza umana. La barca come sospesa nello spazio enorme del foglio e la figurina del rematore (contratto dallo sforzo il busto teso in avanti) raggrumano solitudine ed enigma, ma anche la ricerca di un orizzonte.
Quello di Sophie Ko è un (delicatissimo) atto di astrazione perché dalla vicenda di Kaspar Hauser l’artista non isola alcun episodio conosciuto al fine di renderlo paradigmatico, ma inventa un’immagine di abissale significanza.
Nachts blieb er mit seinem Stern allein – di notte rimaneva solo con la sua stella scrive Georg Trakl nel Canto di Kaspar Hauser: chi rema verso un approdo che ancora non vede attraversa la notte che gli sta dentro (non si conosce più o non ancora, non sa chi diventerà) e attraversa la muta ostilità di chi lo rifiuta.
Kaspar Hauser, il relegato e l’abbandonato, il trasognato comparso all’improvviso nelle strade di Norimberga inforca una lunga canoa e pianta il remo nell’acqua della solitudine. O della speranza.
Dà le spalle a chi guarda come alludendo ai dipinti di Caspar David Friedrich, ma, sopra tutto, è il sé stesso heideggerianamente gettato nell’esistere e determinato a navigare le acque dell’essere, quelle buie di chi lo rifiuta e quelle cristallline di chi si cerca un destino.
Ovunque intorno lo aspetta il suo assassino perché Kaspar Hauser è il nome dell’altro, dell’estraneo, del diverso.
E allora, se in molti suoi lavori Sophie Ko prende le immagini, le sottopone a combustione e con le loro ceneri, con i pigmenti puri che vi unisce, crea orologi a polvere (alte e piatte teche dentro le quali la forza di gravità, lentamente con il passare del tempo, smuove e fa precipitare quelle ceneri, quei pigmenti), qui crea invece l’immagine purissima, oserei dire che scrive il pittogramma che potrebbe tradursi o leggersi con il nome di Kaspar Hauser e assumere il significato di “colui che non ha una casa”, “colui che si protende verso un approdo”.
E quel pittogramma, delicato e quasi trasparente, si dà a vedere dentro l’enorme silenzio del foglio.