di Antonio Devicienti
L’azzurro di molti dipinti di Maria Helena Vieira da Silva che si porterà per sempre dentro di sé Lisbona, anche nei lunghi esigli: l’azzurro, il movimento incessante del vento e dello sguardo, il movimento stesso del corpo dentro Lisbona (dovrebbe muoversi a piedi il viaggiatore, Wanderer e flâneur, farsi tuttosguardo).
Nelle città lo sguardo si muove rimbalzando continuamente su di un muro, un angolo, uno scorcio stretto di cielo – ci sono luoghi di Lisbona dove lo sguardo trova invece spazi vastissimi, sale e discende.
Sogno un libro che descriva le finestre di Lisbona (janelas, cioè “piccole januae”, porticine, anch’esse evidentemente sorvegliate dal dio Giano – Janus – capace di vedere dentro e fuori della stanza e della casa); migliaia di finestre che riflettono la luce cangiante e marezzata della città (uno degli aspetti salienti, immagino, del “cromatismo di Lisbona sotto il sole” di cui scrive Pessoa), migliaia di aperture vetrate davanti al fiume, alla presenza velata ma pressante dell’Atlantico ch’è poi l’Occidente.
L’italiano finestra è da riportarsi alla radice indoeuropea *bha(n) / *pha(n) che vale “risplendere” e “apparire”, mentre le ventanas dello spagnolo sono le aperture traverso le quali entra il vento, esattamente come attraverso gli windows inglesi.
Le παράθυρες del greco stanno, letteralmente, “accanto alla porta”. Fascinazione, subisco la fascinazione delle finestre, dei balconi e delle terrazze che popolano le regioni mediterranee e atlantiche.
Finestre finestre finestre. S’affacciano dal testo verso la punta della penna, guardano verso di essa. E la penna, discreta e timorosa di violare segreti, si stacca dal foglio. Segue poi bianco spazio, sospeso bianco.
Ma ogni finestra dice una vita, ogni finestra è accenno a una vita. Ipotesi, appunto: immaginazione, imperatrice delle possibilità.
Scrittura si fa immaginazione.