di Paolo Vincenti
Se c’è un vento universalmente odiato, questo è lo scirocco, il vento umido che attanaglia soprattutto le regioni del sud del mondo. Nessuno può apprezzarlo e finanche nell’arte e nella letteratura questo vento viene descritto sempre in termini negativi, come una vera e propria condanna per i popoli che ne subiscono l’infausta presenza. Lo scirocco, vento di sud est, viene anche definito levante. I romani lo chiamavano Euro, oppure Noto, è descritto nelle Dirae (non a caso, le “maledizioni” che l’autore dell’opuscolo, spogliato dei suoi possedimenti in Sicilia, lancia contro i campi e il loro nuovo proprietario perché questi non possa goderne), come latore di nubi cariche di sabbia, fulva caligine (Pseudo Virgilio, Appendix Vergiliana, Dirae, v.38). Orazio descrive lo scirocco come scatenatore di nembi (Orazio, Odi, II, 16, v.23) e lo chiama niger, “negro” (Epodi, 10, v. 4), mentre Ovidio parla di tumidi euri (Ovidio, Amores, I, 9, 13). Insieme agli altri venti, si scatena nella tempesta che si abbatte sulla nave di Ulisse nell’Odissea (Omero, Odissea, vv.295-6, 331-2). Ancora Orazio, col nome di Noto, lo definisce “arbitro, re dell’Adriatico” nelle Odi (Odi, III, 15, v.1). I latini lo chiamavano anche vulturnus, dal monte Vulture, in Lucania. Da qui infatti spira il Volturno, vento caldo che alza la sabbia e che fu fatale ai Romani quando durante la seconda guerra punica vennero sconfitti dal generale cartaginese Annibale nella piana di Canne, sulle rive dell’Ofanto, l’Aufidus dei latini. Era il 216 a.C.