Inchiostri 82. Borges a Bagheria

di Antonio Devicienti


Foto di Ferdinando Scianna.

I cosiddetti mostri di tufo in cima al muro di Bagheria somigliano a visioni (emanano dalla mente dello scrittore) (è affascinante l’idea che possano essere visioni – da Tlön? da Uqbar? da Orbis Tertius? – generate dalla mente di uno scrittore cieco): giardini dove i sentieri si biforcano, labirinti per principi il cui reame è l’insonnia: i luoghi di Palermo, di Bagheria, di Selinunte dove Scianna fotografa Borges sono la biblioteca di Babele: o un sottoscala dove si rivela l’aleph: o, di nuovo, le strade del Sur, di Palermo, della Recoleta a Buenos Aires.

Bagheria, oggi così sfigurata, Bagheria così amata da Scianna: e Villa Palagonia, il luogo della vertigine; da che cosa scaturisce quest’universo apparentemente rovesciato? Da una suprema ironia? Dalla mente di un principe in preda a insopportabili cefalee? Da una concezione alchemico-massonica dell’universo? C’è certamente un impeto conoscitivo e creativo in chi costruisce luoghi per rispecchiarvi l’universo o una qualche concezione di esso. L’opera borgesiana, così satura di stanze, labirinti, libri ovviamente, corridoi, scale suggerisce più di un’affinità con la villa voluta da Francesco Ferdinando I Gravina.

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