di Paolo Vincenti
È la domanda che ci si fa quando di un cantautore, magari amato in gioventù, si sono perse le tracce prima di andare su Google e digitare il suo nome. Così mi è successo per Priviero che amai per un breve periodo, da giovanissimo, durante gli anni Novanta, ma che poi non ho più seguito fino ad oggi. Massimo Priviero, inconfondibile voce rock, scavata come i solchi nella bassa padana, sua terra d’elezione, esordì giovanissimo e sotto una buona stella, quella di San Valentino, protettore degli innamorati e anche di Priviero, se è vero che con una canzone intitolata al santo vescovo di Terni il cantautore si fece subito conoscere ed apprezzare, siamo alla fine degli Anni Ottanta. Priviero iniziò ancor prima di Ligabue e se tanto mi dà tanto egli avrebbe potuto mietere un grandissimo successo di pubblico, ma purtroppo tanto a volte non dà quanto, il poi è parente del mai e la gallina di domani si mette in quiescenza lasciando l’uovo di oggi come magra consolazione. Fatto sta che Priviero pubblica una serie di album che non convincono del tutto; quando andavamo a scuola si usava dire: “è intelligente ma non si applica”. Pure, dalla critica di settore è molto apprezzato, ma i risultati di vendita non eguagliano quelli di più intraprendenti rocker che esordiscono nel frattempo.