La vicenda creativa di Mario Serra corre lungo l’asse storico-artistico del secondo dopoguerra
di Roberto Budassi
Il canto solitario e struggente di un poeta del colore
Tutto ha avuto inizio come il soffio giovanile della primavera, con la punta del lapis che insegue l’ultimo refolo di vento, che increspa l’onda nodosa del mare, dove il colore si abbandona, assolato, dai casolari pigri della riviera pugliese, per inerpicarsi sui dolci declivi urbinati, un tempo in cui correva alto il fervore per l’arte e vi era necessità di ricostruire, soprattutto, la coscienza civile e poi la sensibilità estetica dell’uomo.
La vicenda creativa di Mario Serra corre lungo l’asse storico-artistico del secondo dopoguerra e risale la china di quegli anni difficili passando per le sontuose aule della “Scuola del libro” di Urbino, come allievo fra i più dotati e promettenti di Leonardo Castellani, fino all’esplosione della maturità solare degli anni Sessanta e Settanta, vissuti nell’alveo di una ricerca e di un’analisi formale – ma forse è meglio dire, di sensibilità pittorica e grafica – che dalla sua terra, la Puglia, egli ha saputo elevare come un canto solitario e struggente nei confronti degli ammirati esempi dell’arte di Casorati, Campigli, Cassinari, ma anche di Sassu, Sironi e Carrà, abbracciati d’un sol fiato e nella misura di una raggiunta, autonoma per quanto originale, sintassi stilistica, che permea ogni sua fatica, pittorica e grafica, fin dalla prima ora.
L’iniziale premessa urbinate non poteva che convogliare i suoi molteplici interessi artistici verso la pratica dell’incisione, al cospetto di una scuola storica, di disegnatori ma, soprattutto, di grafici ed illustratori che proprio negli anni fervidi della “ricostruzione” viveva una delle sue stagioni più esaltanti. È in quell’ambito culturale ed artistico che il giovane talento di Galatina manifesta un temperamento schietto e sincero, votato come pochi all’analisi figurativa del soggetto passando attraverso l’incanto di un segno, esile e preciso, che scava la penombra e rivela la qualità più pallida di un riflesso, la sostanza più intangibile dell’estremo raggio di luce, che vivifica il fenomeno, nello stile elegante e raffinatissimo che gli aveva insegnato il suo maestro, Carnevali.