Ricordo di Luigi Scorrano

di Antonio Montefusco

Uno dei temi più dibattuti nell’anno del centenario dantesco, nel 2021, è stata la strumentalizzazione che il discorso pubblico italiano ha fatto di Dante e del suo mito. Padre della patria, oltre che della lingua, monumento nazionale, addirittura profeta del dux, il duce: un condottiero immaginato, per il poeta fiorentino; il Duce in carne e ossa per una pletora di sedicenti studiosi in camicia nera, insegnanti di scuola ma anche intellettuali di fibra spessissima (addirittura Giovanni Gentile). Se curiosate tra le note delle centinaia di pubblicazioni su questo tema uscite negli ultimi tre-quattro anni, trovate sempre, ripetuto e venerato, il riferimento un saggio straordinario di Luigi Scorrano, intitolato appunto Il Dante “fascista” (pubblicato su una rivista tedesca nel 2000 e ripubblicato in volume nel 2001). Più di vent’anni prima che la polemica divampasse furiosa, col ministro della cultura che affiliava il poeta nel gruppo dei precursori, addirittura il fondatore, del pensiero di Destra, questo studioso salentino aveva investigato con serietà e con una notevole dose di ironia quello che lui scopriva essere un “luogo comune” della retorica del regime, l’idea cioè che la poesia della Divina Commedia tramandava tutta intera l’idea, si sa quanto pericolosa, di Nazione come comunità di sangue oltre che di lingua, «santa patria» secondo Gentile.

Quel saggio rappresenta tutto intero il modo di stare al mondo, e di studiarlo attraverso la letteratura, di Luigi Scorrano, che si è spento ieri nella sua Tuglie a 85 anni. Uno stile garbato, di un’eleganza moderna, ma in fondo provocatorio, capace di interrogare in profondità il lettore, di non lasciarlo mai indifferente. Nel 2000 il presidente Ciampi, ex partigiano di ispirazione azionista, aveva riportato in vigore simboli (il tricolore) e consuetudini (la parata militare del 2 giugno) che da lungo tempo l’Italia considerava scomodi; Scorrano, dalla sua scrivania, cercò di far capire pazientemente come, nella nostra tradizione, simboli e consuetudini vanno trattati con rispetto, con delicatezza, situati nel loro tempo ma con le giuste consapevolezze culturali, in quadro costituzionale e antifascista.

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