di Rosario Coluccia
Mi colpisce una notizia del quotidiano britannico «The Telegraph»: la «Harper Collins», casa editrice delle opere di Agatha Christie, ha avviato (con l’approvazione degli eredi) la revisione dell’intera produzione della famosissima giallista, allo scopo di correggere i suoi libri, in vista di una nuova edizione degli stessi. In questo caso l’intento non è di soffocare la libertà di pensiero, per impedire che venga messo in discussione l’assetto politico dominante, come fanno le dittature. Per fortuna, nella Gran Bretagna dei nostri giorni, non vige un regime totalitario, in quel paese la diversità delle opinioni è storicamente garantita. La tradizione parlamentare inglese è tra le più antiche al mondo, quel paese non ha conosciuto le dittature fasciste e naziste che nel Novecento hanno funestato l’Italia, la Germania, la Spagna. Scopo dei redattori della «Harpers Collins» è di ritoccare i brani dei gialli di Christie che trattano temi come inclusività, minoranze, disabilità, identità di genere. Assicurarsi che negli originali non ci siano parole o espressioni che, pur rilette dopo decenni da quando furono scritte, rischino di offendere la sensibilità di qualcuno. Non a caso «Ten Little Niggers» (“Dieci piccoli negri” o “Dieci negretti”), uno dei romanzi più venduti al mondo, è stato modificato in «Ten Little Indians» (“Dieci piccoli indiani”), eliminando la parola «Niggers» (“Negri”), che suona offensiva. In realtà il titolo originale è legato a «Nigger Island», un’isoletta dove la Christie ambienta la sua storia e a una filastrocca che ha come protagonisti dieci negretti che sono rappresentati in piccole statuette sul centrotavola della sala da pranzo. In Italia abbiamo imitato: “Dieci piccoli indiani”. E così via.
Le intenzioni di «Harper Collins» sembrerebbero positive, ma non tutto è semplice. Il problema è delicato. Il punto è come comportarsi con romanzi (a volte capolavori assoluti) che presentano forme espressive e situazioni che noi oggi, con i nostri modelli culturali, giudichiamo inaccettabili, aberranti o contrastati con il nostro sentire. Dunque non solo adattamenti di tipo linguistico, anche revisione di contenuti e di ideologia. Ma dove fissiamo i limiti del nostro agire? Si possono cancellare pezzi della storia culturale dell’umanità? Arriveremo ad instaurare sistematiche forme di censura sul passato?