di Paolo Vincenti
Che strano caso, Leandro Barsotti, proprio come il titolo del suo primo album, “Il caso Barsotti”, con cui si affaccia ancora un po’ bleso e incerto, nel 1991, sul mercato discografico che certo non aspettava lui. I primi due lavori, in effetti, “Il caso Barsotti” (1991) e “Ho la vita che mi brucia gli occhi” (1992), sono ancora immaturi. Utilizza un linguaggio ruvido, provocatorio, come di chi voglia accreditarsi fra i cantanti maledetti, ma il suo è un ribellismo di facciata e vuoto in fondo. Non bastano canzoni come “Non mi avrete mai” o “Come James Dean”, “Vecchio bastardo” o “Chiedo scusa” a fare di lui un comprimario di Vasco Rossi. Tra l’altro, canta come Baccini e utilizza una musica rock che si avvicina a quella di Ligabue. Viene giustamente bocciato dalla critica e dal pubblico. Eppure ha una discreta formazione e il suo curriculum è di peso. Barsotti, padovano, è laureato in Sociologia e Psicologia criminale all’Università di Bologna; giornalista professionista, lavora al Mattino di Padova. Nel 1994 la svolta pop, con l’album “Vitamina”.