di Paolo Vincenti
Sempre più spesso, negli ultimi tempi, frequentando tabacchi e bar (di più nei primi, dal momento che i secondi hanno subito le gravi limitazioni imposte dal covid e sono stati fra gli esercizi commerciali maggiormente vessati dalla “decretazione emergenziale””), incontro donne in età chine sul banco, monetina in pugno, a raschiare i tagliandini del gratta e vinci e a giocare compulsivamente numeri del Lotto o delle mille altre lotterie italiane. Prima della pandemia, erano di più gli uomini che, affetti dalla febbre del gioco, occupavano gli angusti e bui spazi del retrobottega destinati da bar e pub alle infernali macchinette succhiasoldi. Mi capitava di incrociare le loro terga mentre consumavo il caffè al banco oppure i loro sguardi inespressivi mentre mi dirigevo nella toilette di cui questi ciechi locali molto spesso fanno da anticamera. Ora, così mi pare, sono di più le esponenti del gentil sesso. In ogni caso, l’emergenza ludopatia ha assunto proporzioni davvero allarmanti. La dipendenza dal gioco, di cui secondo alcuni dati soffre il 3 % della popolazione nazionale, è significativa per un popolo come il nostro che affida ad un terno, un ambo, insomma ai numeri, la svolta, il jackpot della propria mediocre o insoddisfatta esistenza. La febbre dell’azzardo ha contagiato tutti. Addirittura nelle Marche c’è una cittadina nel Fermano, Porto San Giorgio, che detiene il record di 2700 euro a testa per un totale di 43 milioni all’anno in slot. L’azzardo è una grande piaga, se consideriamo che è intrecciato sempre con la malavita. Le grandi sale di bingo e slot sono gestite dalle organizzazioni criminali attraverso i piccoli imprenditori locali che ne fanno da testa di ponte e questi ritrovi sono spesso anche piazze di spaccio perché dove si creano concentrazioni di adolescenti, giovani e giovinastri persi dietro alla loro deriva, si annidano anche gli sciacalli che gli vendono la roba. Dunque, un circolo vizioso. A voler allargare lo sguardo, molto italiane in effetti sono alcune forme di dipendenza come quella dalla droga, quella dal sesso e quella dal gioco. La pornografia, per esempio, attraverso Internet, è diventata una vera e propria ossessione negli ultimi anni e ben simboleggia il clima di neo decadenza in cui si dissolve la perdita di ogni valore e punto di riferimento. Viene equiparata alla tossicodipendenza, indotta da sostanze chimiche endogene, rilasciate dall’organismo di fronte alle immagini stimolanti del porno, nel libro di Mark B. Castleman e Tullio De Ruvo, L’ultima droga. La pornografia su Internet e il suo impatto sulla mente (Il Grande Noce, 2016). Gli autori indicano i pericoli che possono derivare da questa psicopatologia, in primis per i bambini, nelle forme della pedofilia, ma anche per le donne, che possono diventarne vittime come donne oggetto, e per gli uomini, che diventano nevrotici compulsivi alienati. “La pornografia alimenta il crimine”, affermano gli autori, “il porno è un killer silenzioso”. Del tutto italiane, anzi italiote, sono alcune forme regressive di perversioni sessuali, determinate dal consumismo e dalla mercificazione, le degenerazioni di questa sorta di pansessualismo, per dirla con Freud, o di “pansessualità”, secondo le teorie di Mario Mieli nei suoi Elementi di critica omosessuale. Esse sono: l’esibizionismo, il voyeurismo, il feticismo, il sadomasochismo e appunto la pedofilia. Del pari, insidiosa è la dipendenza da stupefacenti; ma quello della droga è in verità un business mondiale e talmente potente che vane sono state fino ad oggi le strategie adottate dai vari governi, e la lotta contro l’uso e il commercio delle sostanze stupefacenti si è rivelata inefficace, una battaglia persa, insomma. “Povero il paese”, mi viene da dire parafrasando Bertolt Brecht, “che ha bisogno di gratta e vinci, lotterie e youporn”.