di Antonio Errico
In una pagina del Mondo come io lo vedo, Einstein diceva che il sentimento religioso dello scienziato prende la forma di uno stupore rapito davanti all’armonia della legge naturale, che rivela un’intelligenza di tale superiorità, che, al confronto, tutto il pensiero e l’agire sistematici degli esseri umani sono un riflesso assolutamente insignificante. Ed è questo sentimento a costituire il principio guida della vita e del lavoro dello scienziato, nella misura in cui lui riesce a trattenersi dai vincoli del desiderio egoista.
L’ uomo che sa di scienza ha la consapevolezza, forse più di qualsiasi altro uomo, che non è possibile porre un limite alla conoscenza, che ci sarà sempre, comunque, un’altra realtà da scoprire, una nuova ipotesi da formulare, oppure soltanto una smentita, un errore da considerare, un’imprecisione che mette a soqquadro una teoria.
L’uomo di scienza non esclude che per molte condizioni il nostro destino appartenga all’enigma, all’invisibile, all’ininterpretabile, all’impenetrabile, all’onnipotenza. Non esclude che ciascuno di noi decida solo in parte quello che gli accade, solo fino a un certo punto. Ogni progetto non può che essere astratto, un’ipotesi poetica, un’idea fantastica. Una stupenda illusione. Una speranza che quello che si pensa si possa realizzare. Si comprendono i fatti e i fenomeni che la nostra poca intelligenza può comprendere, e probabilmente sono quelli di minore rilievo, di marginale importanza.