di Aleksandr Grin
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«Ma è vero? Lei si è negata a entrambi?» – domandò, congedandosi, il padrone di una piccola locanda nella steppa. «Cosa ha detto?»
Rod in silenzio sollevò un po’ il cappello e s’incamminò; Klist agì nello stesso modo. I minatori provavano risentimento verso se stessi, in quanto ieri sera avevano sciolto un po’ troppo la lingua, in balia dei fumi dell’alcool e adesso il padrone della locanda aveva cercato di canzonarli; per lo meno, quest’ultima domanda non celava un palese sogghigno.
Non appena la locanda scomparve dietro la svolta della strada, Rod, con un sorrisetto imbarazzato, disse: «Sei tu che hai voluto della vodka. Se non avessimo bevuto, a Katty non si sarebbero infiammate le guance dalla vergogna per il nostro discorso, pur se la ragazza si trovi lontana da noi duemila miglia. Di che s’impiccia questo pescecane, non è affar suo…»
«Di che ti preoccupi? Non abbiamo fatto sapere all’oste niente di tanto particolare» – lo contraddisse Kist cupamente. «Ebbene… tu amavi… io amavo… una donna, la stessa. Per lei invece era indifferente… Ma il discorso riguardava le donne in genere…»
«Tu non capisci» – disse Rod. «Ci siamo comportati male nei suoi riguardi: abbiamo pronunciato il suo nome in questa bettola, davanti al bancone. Ma non parliamone più, lasciamo perdere!»
Malgrado la ragazza fosse entrata solidamente nel cuore di ciascuno di loro, erano rimasti buoni amici. Non si sa come andrebbe in caso di preferenza. La sofferenza di cuore, la sfortuna amorosa comuni li fece avvicinare, rendendoli persino più intimi: entrambi scorgevano Katty, mentalmente, nel telescopio e nessuno è così affine, l’uno con l’altro, come lo sono gli astronomi. Per questo il loro rapporto non si ruppe, ma divenne più solido, indistruttibile.
Kist disse: «Per Katty era indifferente». Non era però così, non del tutto. Ma lei aveva taciuto.