di Evgenij Permjak
Questa favola, dall’allegria faceta, contiene in sé sciocchezze a bizzeffe. In tempi oramai dimenticati e brutti, questa fantastica frottola fu creata dalla lingua oziosa di qualcuno e fu mandata a spasso per il mondo. Ebbe una vita così così. Minima. Vagò tra la gente, abitò dove capitava, in uno spazio ristretto, ma, bene o male, visse sino ai giorni nostri e finì del tutto per caso nel mio orecchio.
Peccato smarrire una favola! A qualcuno, forse, potrebbe anche servire a qualcosa. Se si ambienta, attecchisca – campi pure! Se no – la faccenda non mi tocca di certo; io, a quanto l’ho comprata, a tanto la vendo.
Sentite.
Poco tempo dopo che il nostro mondo si indurisse, la terraferma si separò dai mari, divenendo l’habitat naturale di varie creature e bestie: animali, uccelli, insetti ecc… Dalla profondità della terra delle vaste steppe della Depressione Caspica, strisciò all’improvviso fuori un gigantesco Colubro d’oro dalle scaglie di cristallo, dal riflesso di pietre preziose, dalle viscere di fuoco, dall’ossatura di minerali fossili e con le vene di rame rosso…
Si propose di cingere la terra come con un cinturone. Una volta deciso, si mise a strisciare dalle calde meridionali steppe caspiche verso i freddissimi mari settentrionali.
Più di un migliaio di verste[1] strisciò dritto, come una corda, ma poi cominciò a serpeggiare ed a zigzagare.
La faccenda, evidentemente, si svolse in autunno. Strada facendo, il Colubro d’oro raggiunse una notte fonda polare. Buio pesto! Come in cantina. Una stagione, in cui in quelle terre l’aurora non sorge neppure.
Il Colubro d’oro si mise a serpeggiare, a zigzagare. Fece un brusco giro dal fiume Usà al fiume Ob e volle, sembra, dirigersi verso la penisola di Jamal. Freddo! Eccome no, per uno come lui, originario di certe profondità dal caldo infernale! Svoltò a sinistra. Strisciò di nuovo per alcune centinaia di verste e scorse un crinale normanno. Al Colubro d’oro si direbbe che il crinale normanno non piacque. Decise di non avvicinarsi troppo, ma di azzardare una scorciatoia, andando dritto dritto attraverso i ghiacci invernali dei gelidi mari nordici.
Per azzardare il Colubro d’oro prese la scorciatoia, solo che, benché ci fosse ghiaccio spesso, sotto un corpo così mastodontico come il suo non poteva resistere. Si crepò. Cedette. Si ruppe.
A questo punto il Colubro d’oro dovette proseguire in avanti, strisciando con la pancia sul fondo del mare. A lui non importava niente con uno spessore così immenso! Continuò a strisciare con il ventre sul fondale, soltanto la spina del suo dorso sporgeva al di sopra dello specchiante livello del mare. Uno così, non poteva mai affogare. Sentiva soltanto un freddo cane.
Nonostante il Colubro d’oro avesse il sangue di fuoco e all’inizio le acque attorno a lui bollissero, il mare non è mica una tinozza d’acqua. Non lo scaldi!
Il Colubro d’oro cominciò a congelarsi. Dalla testa. Come si sa, se hai preso un gran freddo alla testa è la fine del corpo! Cominciò ad irrigidirsi e molto presto s’impietrì del tutto.
Il suo sangue di fuoco divenne petrolio. La carne, minerali fossili. Le costole, pietra. Le vertebre della spina dorsale divennero rocce. Le scaglie, pietre preziose. Il resto divenne tutto quello che c’è negli abissi marini e nelle profondità terrestri. Dai sali ai diamanti. Dal granito grigio ai diaspri ed ai marmi arabescati.
Passarono gli anni, trascorsero i secoli. Il gigante pietrificato si ricoprì di rigogliose abetaie, di vaste pinete, dell’allegria dei boschi di cedri, della bellezza dei lariceti.
A nessuno, proprio a nessuno, passerebbe adesso per la testa che le montagne una volta furono un vivo Colubro d’oro.
Nel frattempo gli anni andarono avanti, scandendo l’orologio delle ere. Sui versanti dei monti si stabilirono gli uomini. Chiamarono il fiabesco Colubro d’oro una cinta, ovvero una fascia di pietra. Fasciò comunque la nostra terra russa, pur se non proprio tutta. Molto più in là gli diedero un nome vero, sonoro, gli Urali.
Da dove provenisse il nome, non so dire. Soltanto che adesso viene chiamato così da tutti. Anche se è un nome breve, in sé racchiude un immenso potere!
(Traduzione dal russo di Tatiana Bogdanova Rossetti)
[1] Versta, s.f. Antica misura itineraria russa, corrispondente a m 1066,79