Nuove Segnalazioni Bibliografiche 17. Shock economy

di Gianluca Virgilio

Qualche anno fa, subito dopo il terremoto che colpì l’Italia centrale, le intercettazioni telefoniche sorpresero qualche imprenditore mentre gioiva per la distruzione causata dal sisma: intravedeva nuovi appalti e nuovi affari milionari. L’opinione pubblica ne fu sconcertata e indignata. Ma se questa avesse conosciuto i principi ispiratori della scuola di Chicago e del suo alfiere Milton Friedman (nato nel 1912 e morto nel 2006, Premio Nobel per l’economia nel 1976), probabilmente non si sarebbe neppure meravigliata della gioia di quegli imprenditori che si fregavano le mani davanti alle macerie dell’Aquila.

Friedman è l’esponente di spicco del pensiero liberista (Capitalismo e libertà il suo libro-manifesto del 1962), secondo il quale lo stato deve astenersi da qualunque intervento nel mercato, che invece bisogna lasciare all’iniziatica privata secondo la politica del lassez-faire. I privati, si sa, non sono mica missionari, fanno i loro interessi. E che c’è di meglio, dunque, per rimpinguare le tasche dei privati, che una grande, profonda, devastante crisi, che può essere naturale (uno tsunami, un terremoto, un’alluvione, ecc.) o politica, economica e sociale (un colpo di stato, una rivolta, una recessione, una guerra, ecc.)? Friedman ha la ricetta: via libera ai privati, che, come iene su una carcassa, fanno man bassa di quanto lo stato ha abbandonato alle loro zanne: privatizzazione della scuola, della sanità, dell’acqua, dell’elettricità, dei telefoni, insomma, di tutti i servizi che riguardano la comunità.  Ed allora, chi può pagarseli non ha problemi, chi invece arranca in questa società diseguale, peggio per lui, va ad affollare la schiera dei poveri. Friedman ha teorizzato quello che i francesi chiamano “capitalismo selvaggio”, nel senso pieno dell’aggettivo, poiché riporta l’uomo ad uno stadio selvaggio, opponendo uomo a uomo, homo homini lupus, come voleva il padre del liberismo moderno, Thomas Hobbes.

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