Manco p’a capa 145. L’ignoranza ambientale è il problema numero uno

di Ferdinando Boero

I miei ricordi di disastri alluvionali risalgono al 1963: il Vajont; al 1966: Firenze; al 1970: Genova. Prima il Polesine, nel 1951. Vista la frequenza degli eventi, noi liceali fummo incoraggiati a scegliere geologia: dovremo per forza dotarci di un esercito di tecnici che guidi una transizione ecologica verso una gestione non dissennata dell’ambiente, causa di tanti disastri. Anche i terremoti flagellano il nostro paese, che mai ha adottato politiche costruttive che tenessero conto della sismicità. Invece di geologia scelsi biologia con indirizzo ambientale, con lo stesso ragionamento: prima o poi dovremo pensare a queste cose. E invece no. Bastano conoscenze elementari sul ciclo dell’acqua per capire che lunghi periodi di caldo portano a grande evaporazione delle acque oceaniche e che queste, prima o poi, tornano giù: alle siccità seguono le alluvioni. Il proverbio dice: sotto la neve pane, sotto la pioggia fame. La neve sequestra l’acqua e la restituisce gradualmente, garantendo continuità di irrigazione. Lo stesso fanno i ghiacciai. Le piogge torrenziali ci danno la stessa acqua delle grandi nevicate, ma con esiti ben diversi. Pare che l’assenza di neve riguardi solo lo sci, e che si risolva con la neve artificiale. Pura follia.
La neve non c’è più, i ghiacciai si sciolgono, alle siccità seguono le alluvioni. E, ogni volta, ci sorprendiamo, diciamo sempre le stesse cose e non facciamo nulla. La “messa in sicurezza” spesso si realizza con ulteriori colate di cemento che esacerbano i problemi. La ferrovia adriatica è minacciata dall’erosione costiera: problema risolto con una massicciata di centinaia di chilometri che ha trasformato una costa sabbiosa in una finta costa rocciosa.

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