di Guglielmo Forges Davanzati
Il Decreto Lavoro del Governo aumenta la precarietà e riduce solo temporaneamente il cuneo fiscale. Il primo aspetto desta notevoli perplessità, se solo si considera che l’indicatore normalmente utilizzato per far conto della flessibilità del mercato del lavoro – l’Epl, il grado di protezione dei lavoratori – è attualmente, in Italia, il più basso della media europea e quello che ha avuto, in Europa, la maggiore velocità di discesa. L’esito, a partire dagli anni Noventa, è stata una forte moderazione salariale, che si è tradotta in riduzione della domanda interna e dell’occupazione e che ha contribuito a generare il più importante problema dell’economia italiana, ovvero la caduta del tasso di crescita della produttività del lavoro. In tal senso, ha pienamente ragione il Presidente Mattarella, allorché osserva che la precarizzazione del lavoro frena la crescita economica. Ciò avviene per le seguenti ragioni. Innanzitutto, la precarietà del lavoro riduce il potere contrattuale dei lavoratori (essendo, al tempo, stesso la causa della riduzione dei contratti flessibili) e, per questa via, comprime salari e consumi. La riduzione dei consumi, a sua volta, deprime la domanda interna e, per questa via, riduce l’occupazione soprattutto per opera delle molte imprese italiane che non sono esposte alla concorrenza internazionale. In secondo luogo, la precarizzazione del lavoro accresce l’incertezza in ordine al rinnovo dei contratti e spinge a detenere liquidità in forma precauzionale, comprimendo, anche per questa via, consumi e domanda interna.