di Biagio Virgilio
[Nel caro ricordo di Donato Moro, ho qui rielaborato alcune riflessioni sulla democrazia che ho esposto nel volume Atene. Le radici della democrazia (Bologna 1994) e in alcune recenti conferenze.]
Ciò che peculiarmente caratterizza e determina la storia dei Greci è la grande frammentazione della Grecia antica in innumerevoli città, ciascuna con la propria irrinunciabile identità e autonomia, in perenne conflitto fra loro. Perciò la storia greca difficilmente può essere ricondotta a storia politica unitaria, e meno che mai a storia per così dire “nazionale”; essa è piuttosto una sorta di sommatoria delle storie delle città greche, dei loro rapporti, dei loro conflitti. L’unità della storia greca consiste essenzialmente nella unità di civiltà, di cultura, di lingua.
Non vi è nulla di nuovo nel dire che i Greci hanno inventato la politica e il pensiero teorico politico, a partire dalle riflessioni sulle origini della convivenza civile.
Secondo Platone (428-389 circa a.C.), il bisogno reciproco fu all’origine della aggregazione degli individui in città: «nasce dunque una città … quando ciascuno … non è autosufficiente, ma ha bisogno di molti. … A questa convivenza noi abbiamo dato il nome di città» (Repubblica II, 369.b-c).
Sulla origine della convivenza civile, Aristotele (384-322 a.C.) esprime una concezione nel complesso analoga, ma più articolata sotto il profilo etico e sociologico. Secondo Aristotele, l’uomo, con la sua capacità di percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori, realizza la sua naturale necessità di convivenza nel nucleo familiare e nella comunità politica. La famiglia è la comunità primaria che si costituisce per i bisogni della vita quotidiana; il villaggio è la comunità di più famiglie, riunite per i bisogni che superano il quotidiano; la città o comunità politica è la comunità di più villaggi, riuniti per raggiungere la completa autosufficienza nella soddisfazione dei bisogni collettivi. Dunque, l’uomo è per Aristotele un «essere politico» (zoon politikòn), cioè un soggetto sociale destinato a vivere in una comunità cittadina-statale. La città-stato è costituita, per Aristotele, nella prospettiva del bene comune, per rendere possibile la vita di tutti, ma la sua ragione di esistere consiste nel rendere felice la vita degli uomini ordinandola secondo i principi del diritto e della giustizia (Politica I, 1-2).