di Antonio Devicienti
Bâtir une demeure pour les hommes
Non meritiamo quel che ci è stato donato, eredità del lungo tempo che ci ha preceduti: maestranze sapienti hanno scavato le fondamenta, eretto i muri, scalpellato cornicioni, lesene, aggetti, centinato le travi, collocato le sculture, preparato le pareti per gli affreschi, collocato i coppi dei tetti… Per meritare quel dono occorre contemplarlo, trasfigurarlo in qualcosa che sia capace (ma l’impresa è davvero ardua) di aggiungere senso a quello che ha già senso e lo irradia.
Immagino così Carlo Mattioli accostarsi un’ennesima volta alla finestra del suo studio e dirigere lo sguardo al Duomo, alla sua cupola, al Campanile, all’ottagono del Battistero: s’accosta per meditare alla finestra-sguardo e oltre i tetti la vede emergere: la fàbrica antica e sapiente.
È questo il momento in cui si comincia a meritare quel legato giunto fino a noi dal passato.
Mattioli prende densi grumi di colore – il Duomo e il Campanile e il Battistero e la distesa di tegole tra la finestra e la fàbrica, spazio del pensiero, appaiono sulla superficie pittorica, racconto d’un amore, sintassi di pensiero poetante. Si conferma in tal modo la vitale continuità tra il passato e il presente, in tal modo si merita la bellezza la quale però, non lo si dimentichi, è edificata anche sull’oppressione e sulla violenza (leggere e rileggere Walter Benjamin, le Tesi di filosofia della storia, la settima in particolare).