Manco p’a capa 135. Francesi combattivi, italiani rassegnati

di Ferdinando Boero

Ultimamente ho usato spesso la parola rassegnazione per descrivere come, in Italia, si reagisca a fatti che, in Francia e in Germania, generano sollevazioni. I francesi sono diversi da noi, a quanto pare. Sono abituati a combattere “come popolo”. Hanno fatto la Rivoluzione Francese (1789) e poi la Comune di Parigi (1871), fino al maggio Francese (1968), e ora sono di nuovo per strada. L’Italia, dal canto suo, ha riunificato il paese con le sollevazioni che hanno sostenuto l’impresa dei Mille (1860-61), senza liberarsi però dalla monarchia, ma poi ha realizzato il fascismo (1922-43), in parte riscattato dalla Guerra di Liberazione (1943-45). Il pericolo di un ritorno al fascismo col governo Tambroni (1960) fu scongiurato da moti di piazza in molte città italiane (da Genova a Reggio Emilia) e, sempre a Genova, la contestazione al G8 (2001) vide scontri per le strade e episodi di tortura. La parentesi del terrorismo brigatista, iniziato nel 1970, non ebbe grande seguito di piazza che, invece, dopo l’assassinio di Guido Rossa (1979) da parte delle Brigate rosse, si mobilitò contro il terrorismo, negandogli legittimazione popolare. Lo stravolgimento politico, in Italia, non avvenne nelle piazze, ma nelle aule dei tribunali, nel 1992, con Tangentopoli, seguita però dal Berlusconismo (1994-oggi), una sorta di restaurazione del sistema pre-Tangentopoli: i moti di piazza furono sostituiti dalla propaganda televisiva. La reazione alla corruzione dilagante di una Tangentopoli mai finita trovò sfogo nel Movimento Cinque Stelle (2012-oggi) che, invece di usare la televisione, scese in piazza con i comizi di Beppe Grillo e usò la rete come nuovo strumento di diffusione del dissenso, senza alcun ricorso alla violenza fisica.

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