di Giuseppe Caramuscio
Quando, nel settembre 1911, il governo italiano dichiara guerra all’Impero Ottomano e organizza una spedizione in alcuni suoi territori (corrispondenti all’attuale Libia) per crearvi una colonia, si accende una fiammata di grande entusiasmo in un vasto schieramento di parti politiche (cui non rimangono estranei persino alcuni esponenti del socialismo riformista), nella stampa e nella maggioranza dell’opinione pubblica nazionale.
La stessa impresa segnala altresì un diverso atteggiamento della Chiesa nazionale, del clero e, più in generale, dei cattolici italiani, nei confronti della guerra e degli stessi valori rappresentati dallo Stato italiano. Preoccupata dalle conseguenze di un ulteriore periodo di distacco dalle vicende del Paese, appena rientrata nella vita politica – sia pure indirettamente – attraverso la finestra del patto Gentiloni, la Chiesa sostiene l’iniziativa colonialista del governo Giolitti, anche su pressione di potenti gruppi finanziari ad essa legati, che in Tripolitania intendono tutelare i propri interessi. Il Vaticano tuttavia non riesce completamente a controllare l’ondata di passione imperialistica che vede coinvolti, nella cattolicizzazione dell’evento, vescovi e basso clero locali, impegnatisi nella circostanza a rispolverare il vessillo della “guerra santa” contro gli infedeli. Infatti se ad una autorevole componente della cultura cattolica (come la rivista dei Gesuiti, Civiltà Cattolica) riesce immediato identificare la guerra contro l’Impero Ottomano come una crociata contro l’Islam, la Santa Sede invita gli animi alla moderazione[1].
Tra gli aspetti più sorprendenti della vicenda è da rimarcare l’eccitazione nazionalistica scatenatasi, prima, durante e dopo il conflitto, anche fra gli strati popolari dell’Italia meridionale, tradizionalmente piuttosto refrattaria a simili manifestazioni collettive. Non fa eccezione il Salento[2], dove i più affermati intellettuali, intervenendo quali interpreti e guide della pubblica opinione a sostegno dell’avventura coloniale, di fatto tracciano una nuova rappresentazione dell’identità nazionale. Esaminiamo, tra le tante di cui rimane traccia, due testimonianze del periodo: entrambe resoconto di due cerimonie celebrative dell’evento patriottico, ne rappresentano punti di osservazione differenti ma per alcuni aspetti convergenti.