di Antonio Devicienti
Potrebbe essere stimolante immaginare il testo come una scatola o come un insieme di scatole: anche Rachel Whiteread riflette sul magistero morandiano e lo fa materializzando su mensole o scaffali o sedie le scatole presenti nelle nature morte del Maestro: Whiteread costruisce scatole e parallelepipedi in gesso o in metalli ossidati, li dipinge scegliendo la monocromaticità, li accosta seguendo un ritmo del vedere.
Nei primi mesi del 2014 l’artista inglese espone le sue scatole e i propri disegni che tematizzano il medesimo soggetto nelle sale del Museo d’Arte Moderna di Bologna (Study for Room): alle pareti sono esposti alcuni dipinti di Giorgio Morandi – s’instaura così un vero e proprio dialogo fra le opere, rimandi concettuali e spaziali, il tempo sospeso dell’accadere dell’arte diventa esperienza, tangibile presenza.
Che cosa c’è in quelle scatole (in quelle morandiane, in quelle di Rachel Whiteread)? – bottoni, ritagli di stoffe, fotografie, i Mikrogramme walseriani, ritagli di pellicole in super8, articoli di giornale, bamboline, automobiline? …
L’elenco potrebbe, ovviamente, non avere fine: ecco, in ogni scatola potrebbe esserci anche un elenco di oggetti, o l’elenco di diversi elenchi – o il vuoto, tout simplement: la scatola vuota è, nella sua estrema semplicità, la manifestazione delle infinite potenzialità del testo.
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