di Francesco D’Andria
Non era stato facile, agli inizi di questo Millennio, convincere i miei colleghi di Archeologia greca e romana che, come per la Preistoria, accanto alla conoscenza dei manufatti, orientata in particolare sulle opere d’arte, era necessario coltivare il grande campo degli “ecofatti”, di tutti quei documenti naturali che produce lo scavo del sottosuolo. Nella ricostruzione della Storia attraverso la ricerca archeologica, il rapporto natura-cultura e le discipline della bio-archeologia (archeozoologia, paleobotanica, antropologia fisica) sono fondamentali per una comprensione globale dei fenomeni. Così una commissione, formata da professori di storia dell’arte classica, si convinse che anche lo studio della fauna antica può contribuire a decifrare il mondo dei greci e dei romani e l’Università di Lecce, prima tra le Università italiane, ebbe il suo insegnamento di Archeozoologia. Avevo chiesto a Jacopo De Grossi Mazzorin di venire nella nostra città, andando a trovarlo nel suo Laboratorio della Soprintendenza archeologica di Roma, in un arioso sottotetto del Museo di Palazzo Altemps, vicino a Piazza Navona, e subito mi avevano colpito il suo carattere affabile, la battuta romana sempre pronta, e soprattutto la sua capacità di raccontare come gli animali avessero avuto un ruolo fondamentale nella vita delle popolazioni umane, fornendo parte dei loro alimenti, e inoltre pellicce, pelli, lana, ossa e corna per vestirsi e costruire una vastissima gamma di strumenti di uso quotidiano, come la forza degli animali fosse stata utilizzata per spingere aratri e per trasportare cose e persone, e come la loro presenza abbia sempre colpito l’immaginazione dell’uomo, assumendo un ruolo primario nei rituali religiosi e nella costruzione dei miti. Jacopo mi aveva mostrato le ossa degli animali esotici, leoni, pantere, orsi, perfino struzzi, rinvenuti nella cloaca del Colosseo, testimonianza diretta delle cacce (venationes) che si svolgevano nell’arena, come nelle immagini tramandate da mosaici, pitture e rilievi scolpiti ed oggi diffuse dal cinema su tutto il pianeta. L’arrivo di Jacopo a Lecce permise di attivare anche gli altri settori di bio-archeologia, come la paleobotanica, che studia i reperti vegetali dai carboni, ai semi, ai pollini, per la ricostruzione dell’ambiente nei secoli, e l’antropologia fisica, che tratta gli scheletri umani e la storia degli individui fissata nelle loro ossa, dal DNA alle malattie che da sempre accompagnano le vicende umane. Lecce divenne così punto di riferimento nazionale per le metodologie innovative utilizzate nello studio del passato, ma soprattutto nacque una lieta ed intensa amicizia con Jacopo ed una collaborazione scientifica profonda.