di Antonio Devicienti
Luigi Mainolfi concepisce per l’edizione einaudiana dell’Iliade (Collana I Millenni, 2012) lastre in terracotta che, fotografate, vanno a illustrare il volume e anche (sempre in terracotta) le armi di Ettore; tre anni prima aveva illustrato l’Odissea per la medesima Collana; e Mainolfi è lo stesso artista che ha inventato i Silontes, fantastici animali che pascolano, benigni e beneauguranti, dentro spazi ospitali colmi di memoria e di presente e che ha realizzato, a matita, paesaggi urbani che assumono anche forme animali in una transizione fiabesca e illuminante: perché non si potrà mai stare dentro la propria contemporaneità se non si avrà ferma coscienza delle proprie radici (biologiche, storiche, culturali) e anche dello slancio fantasticante che permettono il respiro del pensiero. Perché c’è un’irrinunciabile modernità dell’arcaico (inteso come ἀρχή : origine, cominciamento) riconoscibile nelle narrazioni da cui origina la nostra cultura (Iliade e Odissea) e nella materia più malleabile eppur duratura (l’argilla trasformata anche in terracotta o ceramica: e, alle spalle dei poemi omerici, ci sono le tavolette d’argilla su cui furono incisi l’Enūma eliš e l’epopea di Gilgameš). Perché la scrittura, pur accampandosi su fragili supporti (l’argilla, appunto, il papiro, la carta, lo schermo stesso di un computer o, per meglio dire, nel cosiddetto hard disk o “sul” cloud, questi ultimi a loro volta supporti o archivi ben più fragili di quanto si possa supporre), lega noi alla nostra origine, si oppone alla sciagurata spinta a recidere il legame con il nostro passato.
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