di Antonio Lucio Giannone
La narrativa meridionale è associata, di solito, all’idea di impegno civile e di denuncia sociale, secondo un cliché che risale al secondo dopoguerra e agli anni Cinquanta, vale a dire ai tempi del neorealismo. Allora infatti si affermò una concezione della letteratura che trovò fra i più convinti sostenitori proprio gli scrittori del Sud, i quali sentivano l’obbligo di rappresentare e denunciare appunto nelle loro opere le condizioni di arretratezza della propria terra, oltre che la loro personale pena umana. Ma da quegli anni tanta acqua è passata sotto i ponti della letteratura e tante cose sono cambiate anche nel Mezzogiorno. Lo dimostra questa antologia, intitolata Disertori. Sud: racconti dalla frontiera, a cura di Giovanna De Angelis (Torino, Einaudi, “Stile libero”, 2000).
Il libro comprende undici racconti di dieci narratori meridionali, quasi tutti al di sotto dei quarant’anni, e precisamente i napoletani Antonio Pascale, Antonio Franchini, Maurizio Braucci, Diego de Silva e Davide Morganti, i palermitani Giosuè Calaciura, presente con due ‘pezzi’, e Evelina Santangelo, il potentino Gaetano Cappelli, il salentino Livio Romano, di Nardò, il casertano Francesco Piccolo. Ma perché sono chiamati “disertori”? Proprio perché, come scrive la curatrice nella sua un po’ pretenziosa postfazione, essi ‘disertano’ “le speculazioni ideologiche — per positive o negative che esse siano — che si sono esercitate sul Sud”.
In effetti tutti questi scrittori guardano ormai la realtà, anche quella più tragica e avvilente, con occhi critici ma disincantati, senza più la pretesa di poterla cambiare e anzi senza nemmeno l’illusione di potervi minimamente incidere. Il loro ‘impegno’ è di tipo esclusivamente letterario, stilistico, linguistico. Una costante dei loro racconti infatti è proprio il lavorio espressivo, sia che vada in direzione di uno scrittura particolarmente elaborata e raffinata, come quella del sorprendente Calaciura o di Morganti, che usa un dialetto napoletano arcaico, sia che prevalga la tendenza al parlato, come in Pascale e Romano.