di Massimo Galiotta
Il ritrovamento di Orsolina di Mantova inizia in un monotono pomeriggio di clausura da Covid-19, lunghe giornate casalinghe trascorse per lo più in modalità smart-working, studiando e scrivendo. Il mese di marzo 2020 volgeva ormai al termine, proprio in quel periodo sulla mia scrivania prendeva forma la prima delle tre parti del saggio «Falsi e inesistenti», pubblicato a partire dal settembre dello stesso anno. Tra uno scritto e l’altro si presenta l’occasione di valutare la bontà di un piccolo olio su tavola con un volto di bambina. Gli elementi disponibili convergevano verso un solo nome, inducendomi ad andare avanti nell’indagine, erano riconoscibili alcuni tratti distintivi tipici della ritrattistica di Gioacchino Toma.
Ma in questo campo la Connoisseurship non è sufficiente, esistono protocolli precisi, era necessario aggiungere un approccio scientifico, che analizzasse l’opera nelle sue componenti fondamentali: il supporto, il pigmento. In definitiva un check-up completo, volto a stabilire bontà e stato di salute del quadretto. L’opera rimane a Castel Gandolfo nel laboratorio dell’esperto Cesare Spaggiari alcuni giorni.
La “nota tecnica” di Spaggiari è una conferma alle prime impressioni: «Orsolina di Mantova è un olio su tavoletta di cm. 19×14 (ca.) attribuibile a Gioacchino Toma (Galatina, 1836 – Napoli, 1891), l’opera reca un’iscrizione sul retro del supporto: Giugno 1889 / fece Sig.r Toma / Orsolina di Mantova.Il supporto del dipinto è costituito da una tavoletta in legno duro massello dello spessore medio di 3 mm., trattata sul fronte con una sottile preparazione bianca. L’opera si trova in ottime condizioni di conservazione, sia per quanto riguarda la tavoletta di supporto […] che per la superficie pittorica perfettamente integra e interessata solo da depositi che non ne pregiudicano l’estetica»[1].