di Simone Giorgio
«Chi sono, io? [ … ] in fondo potrei forse domandarmi semplicemente qui je hante: chi frequento, chi infesto»
(André Breton, Nadja, 1928)
Nella conclusione del suo celebre La letteratura fantastica, Todorov compie una mossa critica particolare, come se volesse porre agli studi che l’avrebbero seguito una pietra di paragone con cui è impossibile non confrontarsi. Dopo una lunga disamina del fantastico e del meraviglioso nella letteratura dei secoli precedenti, chiudeva infatti il suo saggio notando che l’epoca d’oro del genere era tramontata alla fine dell’Ottocento. In quel momento, secondo Todorov, la sua funzione sociale e conoscitiva era stata a suo dire soppiantata dalla psicanalisi:
La psicoanalisi ha sostituito (e di conseguenza ha reso inutile) la letteratura fantastica. Oggi non abbiamo bisogno di ricorrere al diavolo per parlare di un desiderio sessuale immoderato, né ai vampiri per designare l’attrazione esercitata dai cadaveri: la psicoanalisi, e la letteratura che direttamente o indirettamente se ne ispira, ne parlano in termini non mascherati. Letteralmente, i temi della letteratura fantastica sono diventati esattamente quelli delle ricerche psicologiche degli ultimi cinquant’anni[1].
In verità, a partire dal
Novecento, la sensibilità di scrittori e scrittrici verso il fantastico non è
certo venuta meno, e anzi è parsa innervare sia la letteratura colta che quella
popolare. Il fantastico è andato via via trasformandosi, puntando non più, o non
solo, sulla creazione di atmosfere e situazioni ricorrenti, ma anche sulla
commistione e l’ibridazione fra i generi letterari. In questo continuo lavoro
di rinnovamento sulla forma, l’esplorazione dell’inconscio ha guadagnato uno
spazio decisivo, talora per sondare il “difforme”, talora come descrizione
della presenza dell’inspiegabile nella quotidianità. Nel
corso dell’ultimo secolo il fantastico si è dunque sviluppato in modi molto
diversi e talvolta contrapposti, complice l’abbattimento dei confini fra i
generi. Accanto a testi ormai assurti allo status
di classici del genere fantastico propriamente inteso, ve ne sono altri
ancora che operano un recupero più o meno esplicito del magico, del romanzesco,
dell’avventuroso; troviamo inoltre riscritture manieriste della tradizione o
contaminazioni con la fantascienza. Proprio in virtù del nuovo legame con la
sfera psicanalitica, è possibile rintracciare una diffusa percezione letteraria
del soprannaturale che non si rifà agli stilemi di genere ma ne adotta alcune
tecniche stranianti, in prosa come in poesia. Il saggio postumo Il soprannaturale letterario di
Francesco Orlando[2],
che si pone in ideale dialogo con il lavoro di Todorov, traccia bene le fila di
questo discorso. Orlando ritiene di poter rileggere il genere in una
prospettiva che ne individua diversi «statuti», ciascuno caratterizzato da una
diversa gradazione dell’incredulità del lettore. Delinea dunque una traiettoria
che, per così dire, culmina nel soprannaturale
di trasposizione, in cui la razionalità non basta a spiegare gli
avvenimenti narrati, e soprattutto nel soprannaturale
di imposizione, dove l’autore decide arbitrariamente di «imporre» il
fantastico al lettore, senza sollevare il problema di giustificarlo. L’esempio
più celebre fra quelli portati da Orlando è La
metamorfosi di Kafka: dalla scelta si può notare come quest’ultimo statuto
sia strettamente legato al concetto di straniamento.