di Antonio Errico
Dice di essere una contastorie, di credere nel potere delle storie, nella magia delle parole, perché le parole creano connessioni, ci rendono più consapevoli, più umani, più compassionevoli. Dice che i libri possono guidarci, ispirarci, svegliarci; a volte anche salvarci. La letteratura ci aiuta a rimetterci in contatto con gli altri esseri umani in modo molto più profondo, attiva la nostra immaginazione, il pensiero, le emozioni, le riunisce.
Così dice la scrittrice turca Elif Shafak, in un suo articolo sulla “Stampa” di qualche tempo fa.
Accade a volte, che si dia per acquisita, per indiscutibile, la rilevanza che la letteratura assume nella dimensione esistenziale di ciascuno e in quella di una civiltà. Accade anche, a volte, che si dia per acquisito esattamente il contrario, che si consideri la letteratura del tutto irrilevante nei processi di sviluppo e di progresso sociale e personale.
Forse, sia l’una che l’altra considerazione provengono da una stratificazione concettuale che non si lascia penetrare da sospetti di errore. Chi crede che la letteratura serva a molto, a moltissimo, che sia ad ogni livello essenziale, non è disposto a cambiare idea neanche davanti a prove ipoteticamente inconfutabili che ne dimostrano l’inutilità; la stessa cosa accade a chi ritiene che la letteratura non possa servire a niente, a nessuno, per nessuna ragione: non c’è argomento che possa convincerlo che invece in qualche caso e a qualcosa può servire.
Non c’è alcun dubbio che uomini senza un rapporto con la letteratura siano vissuti, vivano e vivranno tranquillamente, e forse anche più tranquillamente di quegli altri che con la letteratura hanno avuto, hanno ed avranno un rapporto sistematico, che per alcuni aspetti ne conforma la personalità.