di Guglielmo Forges Davanzati
L’uso del contante, checché ne dica Giorgia Meloni, incentiva l’evasione fiscale. A dirlo è uno studio della Banca d’Italia (“Occasional paper”, n. 649 dell’ottobre 2021), pubblicato successivamente con il titolo “Pecunia olet. Cash usage and the underground economy” (Il denaro odora. L’uso del contante e l’economia sommersa) nella prestigiosa rivista “Journal of Economic Behavior and Organization” nel 2022. Gli autori – Michele Giammatteo, Stefano Iezzi e Roberta Zizza – si avvalgono di un esercizio econometrico sofisticato con il quale pongono in correlazione l’uso del contante e le tasse non pagate, con riferimento al caso italiano dal 2015 al 2017. La conclusione non lascia dubbi: un aumento di un punto percentuale nell’utilizzo del contante si traduce – a parità di altre condizioni – in un aumento della quota di valore aggiunto irregolare compreso tra 0,8 e 1,8 punti percentuali. Si osserva innanzitutto che l’uso dei “cash” è molto diffuso nel Mezzogiorno e poco nel Nord del Paese: calcolato come quota di contante usato negli scambi sul totale delle transazioni effettuate, dalle imprese nel settore non finanziario, su fonte Banca d’Italia, questa percentuale varia dal 12.3% di Enna allo 0.4% di Milano. In secondo luogo, si conferma un dato noto agli economisti, per il quale sono soprattutto le imprese di piccole dimensioni (se non altro perché più difficilmente controllabili) a evadere. Anche su questo aspetto, il Governo sbaglia, mostrando di ignorare l’evidenza dei fatti. Durante il discorso di insediamento, Giorgia Meloni ha dichiarato che intende combattere l’evasione fiscale concentrandosi soprattutto sulle imprese di grandi dimensioni.