«Una poesia pagata con la vita»: Lorca nell’interpretazione di Vittorio Bodini (Prima parte)

di Antonio Lucio Giannone

  La figura e l’opera di Federico García Lorca sono state un punto di riferimento costante per Vittorio Bodini in tutto l’arco della sua attività letteraria. Al grande poeta andaluso infatti lo scrittore leccese ha dedicato studi, articoli, traduzioni  a partire dalla metà degli anni Quaranta fino agli ultimi tempi della sua vita, contribuendo in maniera determinante a farlo conoscere nel nostro paese, insieme a Carlo Bo e a Oreste Macrì. Ma Bodini non è stato soltanto uno dei maggiori interpreti e traduttori di Lorca,  è stato anche il poeta italiano che più ha risentito dell’influenza lorchiana nella sua opera creativa. Anche la tragica morte dell’autore del Romancero gitano ha costituito un motivo profondo di riflessione per lui che è ritornato su di essa in vari articoli quasi per trovarne una (impossibile) ragione. Esaminiamo allora i momenti principali dell’interpretazione bodiniana di Lorca con particolare riferimento proprio agli scritti sulla sua scomparsa.

            L’autore della Luna dei Borboni incominciò ad occuparsi “ufficialmente” del poeta spagnolo nel 1945, allorché viveva a Roma e collaborava a vari periodici e riviste letterarie.[1] Proprio su una rivista romana, «Aretusa», esce nel novembre di quell’anno la sua prima traduzione lorchiana, il Teatrino di don Cristóbal, che nel 1952 figurerà nel volume einaudiano dedicato al Teatro  di Lorca. Ma al 1945 risale anche una poesia, Processione del Venerdì santo, che ha come sottotitolo «alla maniera di Federico García Lorca», a dimostrazione di come l’attività di studioso e di traduttore nello scrittore leccese fosse sempre strettamente intrecciata con quella di poeta. Questa lirica  dimostra un precoce interesse per Lorca da parte di Bodini, il quale aveva rifiutato ormai l’ermetismo e cercava nuove strade in campo poetico più adeguate ai tempi profondamente mutati:

            Lacrime nere stillavano

            gli occhi della Madonna,

            lacrime rosse l’argenteo

            stiletto da fina avventura.

            Seguivano, un inno di menta

            cantando, tremante lucignolo,

            le fanciullette cristiane,

            come u  vestite di viola.[2]

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