Nuove segnalazioni bibliografiche 3. Si può cambiare il mondo?

La domanda che vorrei porre preliminarmente in questo articolo è la seguente: crediamo noi di vivere nel migliore dei mondi possibili oppure crediamo che questo mondo non sia affatto il migliore e che anzi sia necessario adoperarsi per cambiarlo?

Basta guardarsi intorno: guerre, carestie, immani diseguaglianze sociali, uno stato di perenne violenza è presente nel mondo, nel tempo che ci è toccato in sorte di vivere. Si dirà che anche nel passato gli uomini hanno vissuto il tempo tragico della storia, e che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Ma la domanda iniziale ritorna e richiede una risposta: un altro mondo è possibile?

La risposta che dà in modo convinto la cultura mainstream occidentale è che la nostra democrazia è la realizzazione compiuta del vivere comunitario e che nulla di meglio ci si può attendere dal futuro. Fukuyama già dal 1992 nel suo volume ha decretato la Fine della storia, che non vuol dire la fine dell’uomo, ma certamente la fine del secolo delle cosiddette “grandi narrazioni”, che, ognuna a suo modo, si sforzavano di immaginare un mondo migliore. Il liberalismo, ideologia organica al capitalismo postmoderno, ci ha abituato a pensare che non solo viviamo davvero nel migliore dei mondi possibili, come diceva il Pangloss volterriano, ma che addirittura tutti i mali derivano da un difetto di democrazia nel mondo, che dunque va esportata, costi quel che costi, perché solo quando la democrazia avrà pervaso tutto il mondo, solo allora la pace sarà assicurata all’umanità, non ci saranno più guerre, la carestia sarà un vago ricordo del passato e tutti saremo felici e contenti. Fine della storia e, dunque, fine della filosofia, che della storia riflette il pensiero, quello che si dice il senso della storia. Se finisce la storia perché non dovrebbe finire anche la filosofia? Lo si vede già nelle scuole e nelle università, dove il sapere filosofico (col sapere storico letterario che lo accompagna) o è ricondotto al sapere tecnico-scientifico, l’unico ad avere valore, oppure nella vulgata è sempre più assimilato alle materie cosiddette “inutili”.

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