di Gianluca Virgilio
È possibile una serenità ancora più profonda
che si regge sulla base di un dolore inestinguibile”Karl Jaspers, La morte
(in La mia filosofia, Einaudi, Torino 1981 [1946], p. 199)
La morte di mia madre è come la mia morte, poiché lei mi ha trasmesso tutte le sue infermità. So come regolarmi circa il mio futuro”
E. M. Cioran, Quaderni 1957-1972
(Adelphi, Milano 2001 [1997], p. 472)
24 dicembre
Nel pomeriggio ho prelevato mia madre dal reparto di Neurologia dell’Ospedale di *, per portarla a casa, dove intendo farle trascorrere il periodo delle feste natalizie e di fine anno. Il consiglio dei medici è quello di portarla direttamente all’Hospice, dove si portano i malati terminali, ma io ho chiesto che questo ricovero venisse procrastinato.
Le condizioni generali di salute della mamma sono apparentemente buone rispetto a circa venti giorni fa, quando, d’urgenza, io e mia sorella la portammo al pronto soccorso perché i segni del coma diventavano sempre più evidenti. Dopo una settimana di terapia intensiva e quindici di degenza con somministrazione di dosi massicce di cortisone, la mamma lascia l’ospedale. I medici non ci hanno dato alcuna speranza: le metastasi al fegato, alle ossa e al cervello non consentono di riprendere la chemioterapia. Tutto quello che si può fare è attendere la morte.
Mia madre è sempre stata informata della gravità del male da cui è affetta; non le abbiamo voluto nascondere nulla, perché è sveglia e intelligente, e il gioco non ci sarebbe riuscito. Solo in seguito all’aggravamento delle sue condizioni di salute, non le abbiamo rivelato la presenza di metastasi al cervello e alle ossa, i cosiddetti “secondarismi”, come c’è scritto nelle cartelle cliniche. Ora non è più necessario dirle la verità, poiché sembra già conoscerla.