di Antonio Errico
Il 10 febbraio del 1996, a Filadelfia, il campione del mondo Garry Kasparov, perde la partita a scacchi con Deep Blue. Sette giorni dopo, Garry Kasparov riesce a prendersi la rivincita. Poi riuscirà anche a vincere il torneo. Ma quella vittoria di Deep Blue è una metafora che allo stesso tempo seduce e fa paura. Deep Blue è una macchina: un computer pensato, progettato, realizzato, da una mente d’uomo che riesce a vincere il pensiero, la logica, la creatività, la competenza, l’esperienza, il genio di un campione. E’ accaduto; potrebbe ancora accadere. Probabilmente accadrà. Per un campione e per chiunque. Le conseguenze dipenderanno dalle finalità della sfida. La tecnologia serve per realizzare cose belle. Come quella di un robot che si chiama Ipa2X, inventato per aiutare anziani e bambini ad attraversare la strada. E’ un esempio. Serve per cose meno belle, che possono essere molte. Tante che diventa difficile sintetizzarle in un esempio.
La convivenza dell’uomo e della macchina può essere pacifica o conflittuale. Se dovesse essere conflittuale, non si può sapere quanto potrà durare, né il modo in cui andrà a finire.
Davvero una metafora bellissima e paurosa, la partita a scacchi tra Garry Kasparov e Deep Blue. Che induce, o costringe, a chiedersi se nel processo del progresso vincerà l’uomo o la macchina, se dovrà rivelarsi per forza una contesa o se sarà necessario, indispensabile, riuscire a trovare un’intesa fondata sull’etica, sulla responsabilità, da chi dipenderà la scelta tra l’intesa e la contesa. Forse quest’ultima è l’unica domanda alla quale non è difficile rispondere. Basta riferirsi all’origine, alla mente di colui che inventa: basta riferirsi all’uomo, al suo progetto, alle finalità, agli obiettivi, alle intenzioni che sono a fondamento di qualsiasi invenzione. Se sarà intesa o se sarà contesa, dunque, dipenderà soltanto dall’uomo, dalla sua capacità di controllare e governare gli strumenti che inventa, dalla sua visione del mondo, del reale e del virtuale, dalla sua idea di sviluppo e di progresso. Ma forse dipenderà soprattutto dal modo in cui immagina i destini dell’umano. Se per quei destini immagina una condizione di asservimento alla macchina, sarà un conto; se invece immagina che la macchina debba essere utile e funzionale al benessere degli umani, allora sarà un conto completamente diverso. Non si tratta di porre limiti alla scienza e alla tecnologia. L’una e l’altra esistono per violare i limiti. Si tratta di conciliare, di contemperare la dimensione dell’intelligenza umana con la dimensione dell’intelligenza di una macchina che da quella umana proviene e dalla quale comunque dipende, o dovrebbe sempre dipendere. Non è facile, forse è impossibile prevedere quali potranno essere gli sviluppi.