di Antonio Devicienti
Disegnare è atto di gioia intellettuale e di conoscenza: l’architetto Álvaro Siza disegna non solo in funzione dei progetti cui lavora, ma anche per puro divertimento, per fissare sotto forma d’immagine momenti di convivialità – ed egli disegna per vedere.
Guardare è il primo momento, quello immediato e di approssimazione a un luogo, a un fatto, a un evento; successivamente si elabora il vedere, che significa mettere a fuoco, comprendere, analizzare e, nello stesso tempo, cogliere l’insieme.
In più di un disegno di Siza c’è il luogo disegnato (tratti rapidi, eleganti, significanti) e ci sono le mani che disegnano, c’è la matita e c’è il quaderno o il taccuino: il disegnare vede il luogo e vede sé stesso nel suo farsi.
Disegnando Álvaro Siza rende visibile il pensare, raccoglie sul foglio il tempo e lo spazio (compresenti) e, in tal modo, li vede. Il mondo (non se ne trascuri l’etimologia, per cui per la lingua latina mundus è il luogo pulito, chiaro, illuminato, e quindi reso perspicuo, dalla luce del sole) si squaderna alla vista e Siza lo accoglie sulla pagina bianca cogliendone con pochissimi tratti e la complessità e la bellezza.
È come se il visibile e l’invisibile dialogassero seguendo il sentiero tracciato da Maurice Merleau-Ponty: è il mondo a darsi a vedere e l’occhio umano ne è parte, è immerso in esso, mondo poroso, miscuglio di visibile e d’invisibile – il disegno li vede compresenti, non li descrive, li rende visibili.
Il disegno non esclude quello che rimane fuori dal foglio, ma vi fa riferimento proprio rappresentando sé stesso in forma di frammento che la mente di chi guarda va a completare con la propria capacità immaginativa.
Se disegna Siza lo fa per senso di libertà e per piacere, riconoscendo nell’atto di vedere disegnando quella calviniana leggerezza che ci restituisce la bellezza del mondo e del nostro sguardo in esso – malgrado tutto e contro ogni involgarimento e violenza.