di Gianluca Virgilio
Quand’ero un ragazzino, spesso sentivo i miei professori ripetere sul mio conto un giudizio poco lusinghiero: “Questo ragazzino manca di volontà”; a volte, la parola “volontà” era accompagnata dall’aggettivo “buona”; sicché la frase suonava così: “Questo ragazzino manca di buona volontà”. E già, perché la volontà può essere anche cattiva e dunque alcuni professori, a mio favore, escludevano una simile eventualità. Tuttavia questa era la motivazione principale del mio modesto rendimento scolastico.
Ero molto sensibile al giudizio degli insegnanti, che poi si riverberava su quello dei miei genitori, un po’ addolcito dall’affetto parentale; ma che potevo farci? Ero un ragazzino di dieci, undici anni e la mia forza vitale, da cui dipende la volontà, allora era ben poca. S’accrebbe – almeno questa fu la mia percezione – in terza media, quando genitori e insegnanti mi incalzavano per farmi impegnare di più in vista dell’esame. Per impegnarsi di più, si sa, occorre volerlo; ed io lo volli: studiai di più e frequentai anche un corso supplementare privato, come mi fu imposto. I risultati furono discreti.
Quell’anno – era il 1975 –, la mia volontà e il mio impegno si erano messi al servizio di un’altra Causa, oltre a quella impostami dall’imminenza dell’esame: era la grande causa della Rivoluzione.