di Antonio Errico
Rassomigliano agli uomini, alle donne, ai giovani, ai vecchi, ai ragazzi, ai bambini, che le pronunciano, le sussurrano, le gridano, le adorano, le disprezzano. Rassomigliano al tempo delle creature: ai loro amori e ai disamori, ai loro giochi, ai sogni, alle ribellioni, alle ferite, alle illusioni, alle delusioni, ai rimpianti, ai ricordi. Rassomigliano alla vita e alle sue stagioni. Hanno un principio e una conclusione.
Così ciascuno si porta dietro – si porta dentro – le parole del tempo che gli appartiene.
Come il tempo vengono e vanno. Vengono con gli uomini, con le loro storie, con gli strumenti che gli uomini inventano, con le loro paure, con le loro scienze, con i bisogni che hanno, con i mestieri che fanno. Vanno via quando quelle storie cambiano, quando gli strumenti che hanno inventato non servono più, quando sopraggiungono altre scoperte, altri mestieri, quando si trasformano i bisogni e si trasformano anche le paure, quando le cose che girano intorno ma anche quelle che girano lontano richiedono diverse denominazioni. Le parole sono così. Arrivano e se ne vanno. A volte gradualmente, giorno dopo giorno. A volte all’improvviso. Come le esistenze e come le culture che esprimono e rappresentano. Una lingua cambia ogni giorno, ogni istante, nello stesso modo in cui cambiamo noi, come cambia la vita: ogni giorno, ogni istante. Che le parole compaiano e scompaiano è una condizione naturale. Non è naturale, invece, che vengano mortificate, relegate, confinate. Non è naturale la privazione di un’espressione autentica e irripetibile che ci imponiamo senza motivo se non quello della pigrizia, del conformismo, dell’acritica imitazione. Così ripetiamo espressioni degli altri come se le nostre esperienze fossero simili a quelle degli altri. Imitiamo modelli scadenti che ci vengono proposti, o imposti, dalla banalità di media e di social. Le parole che traducono l’identità le barattiamo con altre che con l’identità non hanno corrispondenza, non hanno colore, non hanno sapore, sono anonime, inespressive, impersonali.