di Antonio Prete
Quinto Ennio, il poeta latino che primo usò il verso esametro, diceva di possedere tre anime (“tria corda”): una greca, una romana, una osca. Il poeta degli Annales era nato a Rudiae, oggi parco archeologico a tre chilometri da Lecce: costeggiavo la zona degli scavi ogni volta che dal mio paese raggiungevo la città percorrendo la vecchia strada; accadeva anche, in anni lontani, che andassi talvolta in bicicletta, affrontando la salita che proprio all’altezza delle rovine di Rudiae chiedeva al ciclista più di uno scatto.
Anche se non era certissimo che fosse proprio quella la Rudiae di Ennio, l’espressione “tria corda”, riferita a tre lingue, a tre culture, che convivono in una sola esperienza di vita e di scrittura, mi veniva spesso in mente quando sfioravo quell’area archeologica, che ora si è arricchita di un bell’anfiteatro romano portato alla luce di recente dall’amico Francesco D’Andria. L’estate scorsa m’è accaduto una sera di leggere miei versi in quell’anfiteatro: è sempre sorprendente l’annodarsi destinale dei fili in un’esistenza.
Tria corda, ovvero compresenza di culture diverse: mediterraneità modulata per lingue e miti e saperi. Relazione costante tra la radice e l’altrove. Una coralità che il Salento ha sempre alimentato: anche nei rapporti tra la molteplicità dei dialetti romanzi e la koiné linguistica dei paesi che intorno a Calimera fanno parte della Grecìa.
L’articolatissima mappa dei dialetti parlati nella penisola salentina, ordinata e definita dal lungo lavoro di ricerca del filologo tedesco Gerhard Rohlfs, autore di un poderoso Dizionario dei dialetti salentini, disegna il terreno, in un’area geografica ristretta, di reti comuni e insieme di molte differenze: differenze di fonesi, di morfologia, di strutture espressive.