di Adele Errico
Si può vivere tutta una vita in un racconto? E in quella vita, tutte le stagioni, e la gioia e il dolore di una storia d’amore, e l’incanto e la malinconia di una felicità lontana?
Se quel racconto è “Inviti superflui” di Dino Buzzati, si può.
“Inviti superflui” – che fa parte della raccolta “Sessanta racconti” – ha la consistenza di un sogno. Un sogno che comincia una sera d’ inverno e termina in autunno. Si muovono, leggeri, due cuori attraverso un inverno di “strade buie e gelate”, e si fermano poi per battere, l’uno vicino all’altro, nel tepore di una stanza, dietro i vetri, a immaginare una felicità che è delle fiabe e solo alle fiabe può appartenere e a sentire palpitare “per la prima volta pazzi e teneri desideri”.
Impazzano poi, questi cuori, in un giorno uggioso di primavera “col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento” per poi perdersi, di domenica, tra quartieri di periferia. Da questo amore, vissuto per tutta una vita e nell’arco di un racconto, nascono “speranze che non si sanno dire” e in esso risuonano le “cose insensate, stupide e care” che dicono gli innamorati.