di Adele Errico
“Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate”.
Quando per la prima volta ho sentito (o letto, da qualche parte) il titolo del romanzo di Antonio Tabucchi, ho immaginato un’enorme mano che sosteneva qualcuno (ho pensato ad una donna, in realtà) che rispondeva al nome di Pereira. Ho continuato a pensarlo fino a quando non ho letto il romanzo e ho scoperto che “sostiene Pereira” è la formula fissa attraverso la quale si segue il districarsi della storia del protagonista che, risponde sì al nome di Pereira: ma è un grassoccio giornalista di mezza età, responsabile della pagina culturale del “Lisboa”, “un giornale del pomeriggio, insomma un giornale che non poteva certo competere con gli altri giornali della capitale” e che, in un giorno in cui il termometro, a Lisbona, segna trentotto gradi, si mette a pensare alla morte. Non proprio alla morte ma alla “resurrezione della carne”.
Impossibile non affezionarsi a Pereira che, nell’immaginario collettivo, ha il volto del grande Marcello Mastroianni. A lui, alle sue limonate piene di zucchero bevute nel Cafè Orquìdea, seduto al tavolino più vicino ai ventilatori, alle sue omelette alle erbe aromatiche, al ritratto di sua moglie che da quando era scomparsa “lui viveva come se fosse morto”, con il quale fa grandi conversazioni e che, in tutta risposta, sempre gli sorride “con un sorriso lontano”.