di Gianluca Virgilio
Come io mi sia trovato nelle vesti del commentatore delle poesie satiriche
di Paolo Vincenti è cosa che dà da pensare innanzitutto a me. Lo farò in questa
breve nota introduttiva. Infatti, la materia delle poesia è tale che urge
spendervi qualche parola per mettere in chiaro i presupposti, l’occasione e le
implicazioni del commento che l’accompagna.
I presupposti sono riassumibili nell’amicizia decennale che mi unisce a
Paolo. Conosco il suo lavoro indefesso, la sua ricerca spasmodica in tutte le
direzioni, la sua inquietudine vitale. A tutto questo ho sempre guardato con
meraviglia e con favore, come il vulcanologo guarda da lontano l’eruzione di un
vulcano che sempre lo stupisce e certifica che la Terra è un pianeta vivente.
Paolo è instancabile e prolifico quant’altri mai, ma è nato in un secolo in cui
i poeti sono di gran lunga più numerosi dei lettori, e quindi ogni voce
naufraga nell’oceano della poesia contemporanea o forse di questo è solo una
più o meno piccola onda, che increspa per un breve momento la superfice
dell’acqua e poi dilegua. In queste poesie Paolo è uno tsunami! Oh, se anche
non fosse destino di uno tsunami alla fine rifluire…
L’occasione si è presentata un giorno dell’estate scorsa, quando Paolo mi
ha manifestato lo scontento per il fatto che la sua poesia satirica non fosse
capita nei riferimenti letterari, nelle allusioni poetiche, in quella che i
critici chiamano intertestualità. Cercava un classicista che rivelasse quanto
il profano, cioè chi è digiuno di cultura classica antica, non poteva capire.
Ora, io non sono certo un filologo classico e neanche moderno, sono solo un
amico di Paolo che ha fatto i suoi studi non sistematici, tali da mettermi
nelle condizioni di capire un testo poetico, quando non sia troppo astruso. E
Paolo, astruso certo non è! Semmai in queste poesie satiriche Paolo è
irriconoscibile. Frequentandolo, ho apprezzato il suo buon umore, la sua
riservatezza, la sua capacità di interloquire con uomini e donne su un piano di
civiltà, la sua gentilezza, il suo autocontrollo. Tutto il contrario si mostra
in queste poesie! Qui egli (ma è proprio lui?) è spesso di malumore, pieno di
ubbie e di risentimenti, maldicente, misantropo e misogino, scurrile e
inaffidabile, assolutamente privo di quel Super io che fa di ognuno di noi un
uomo civile. E allora, come stanno le cose? Paolo è un caso patologico di
paziente affetto da un grave disturbo bipolare, un dottor Jekyll e mister
Hayde, oppure…? Oppure è un caso letterario, cioè uno scrittore che ha
inventato un personaggio e la sua storia? Leggendo le poesie di Paolo, dati i
presupposti e l’occasione, mi sono convinto – lascio agli altri giudicare se a
ragione o a torto – che le implicazioni dell’opera necessitavano di un commento
che ne mettesse in luce la letterarietà.
Nota del commentatore
di Gianluca Virgilio
Come io mi sia trovato nelle vesti del commentatore delle poesie satiriche di Paolo Vincenti è cosa che dà da pensare innanzitutto a me. Lo farò in questa breve nota introduttiva. Infatti, la materia delle poesia è tale che urge spendervi qualche parola per mettere in chiaro i presupposti, l’occasione e le implicazioni del commento che l’accompagna.
I presupposti sono riassumibili nell’amicizia decennale che mi unisce a Paolo. Conosco il suo lavoro indefesso, la sua ricerca spasmodica in tutte le direzioni, la sua inquietudine vitale. A tutto questo ho sempre guardato con meraviglia e con favore, come il vulcanologo guarda da lontano l’eruzione di un vulcano che sempre lo stupisce e certifica che la Terra è un pianeta vivente. Paolo è instancabile e prolifico quant’altri mai, ma è nato in un secolo in cui i poeti sono di gran lunga più numerosi dei lettori, e quindi ogni voce naufraga nell’oceano della poesia contemporanea o forse di questo è solo una più o meno piccola onda, che increspa per un breve momento la superfice dell’acqua e poi dilegua. In queste poesie Paolo è uno tsunami! Oh, se anche non fosse destino di uno tsunami alla fine rifluire…
L’occasione si è presentata un giorno dell’estate scorsa, quando Paolo mi ha manifestato lo scontento per il fatto che la sua poesia satirica non fosse capita nei riferimenti letterari, nelle allusioni poetiche, in quella che i critici chiamano intertestualità. Cercava un classicista che rivelasse quanto il profano, cioè chi è digiuno di cultura classica antica, non poteva capire. Ora, io non sono certo un filologo classico e neanche moderno, sono solo un amico di Paolo che ha fatto i suoi studi non sistematici, tali da mettermi nelle condizioni di capire un testo poetico, quando non sia troppo astruso. E Paolo, astruso certo non è! Semmai in queste poesie satiriche Paolo è irriconoscibile. Frequentandolo, ho apprezzato il suo buon umore, la sua riservatezza, la sua capacità di interloquire con uomini e donne su un piano di civiltà, la sua gentilezza, il suo autocontrollo. Tutto il contrario si mostra in queste poesie! Qui egli (ma è proprio lui?) è spesso di malumore, pieno di ubbie e di risentimenti, maldicente, misantropo e misogino, scurrile e inaffidabile, assolutamente privo di quel Super io che fa di ognuno di noi un uomo civile. E allora, come stanno le cose? Paolo è un caso patologico di paziente affetto da un grave disturbo bipolare, un dottor Jekyll e mister Hayde, oppure…? Oppure è un caso letterario, cioè uno scrittore che ha inventato un personaggio e la sua storia? Leggendo le poesie di Paolo, dati i presupposti e l’occasione, mi sono convinto – lascio agli altri giudicare se a ragione o a torto – che le implicazioni dell’opera necessitavano di un commento che ne mettesse in luce la letterarietà.