Il dialogo e il silenzio

di Antonio Devicienti

Carte d’amore (Bollati Boringhieri, Torino 2022) di Antonio Prete, come già i precedenti, è libro da centellinare pagina dopo pagina, ricchissimo di suggestioni e rimandi, perfettamente coerente con quello che mi appare l’universo umano, poetico ed ermeneutico di Prete – penso di non scrivere nulla di azzardato o infondato affermando che ogni suo nuovo libro sa essere contemporaneamente opera di stile e di poesia, di acribia critica e di studio appassionato, di slancio umano e di caldo sentire.

In questo breve contributo mi soffermerò in particolare sul capitolo Amor sacro, amor profano (op. cit. pp. 196 – 201) che, incentrato sull’omonimo dipinto di Tiziano Vecellio custodito nella Galleria Borghese, rende omaggio a un’amicizia: «Amor sacro e amor profano di Tiziano. Ero con Mario Luzi quando ho visto, per la prima volta, l’originale alla Galleria Borghese da poco riaperta dopo i restauri. Eravamo giunti in taxi dal centro, ed avevamo lasciato, all’esterno della villa, tra gli alberi, la forte luce del pomeriggio romano. Di sala in sala, lungo la visita, la sosta dinanzi a un’opera si accompagnava a brevi parole – la sorpresa per un particolare, per una certa luce dei cieli, per una disposizione della figura, per una qualità singolare della materia pittorica o della forma scultorea -, parole che nella loro parsimonia era come scaturissero, per necessità, da quel tacere che il primo sguardo su una raffigurazione richiedeva, anzi in qualche modo imponeva. Opere viste tante volte nelle riproduzioni, nei libri d’arte, e non solo d’arte, riapparivano d’improvviso con la loro aura, si mostravano nella loro corporea presenza. Sentivo […] che l’occasione aveva per me come una sua discreta, quasi intima solennità, data dal privilegio di poter affiancare il mio sguardo allo sguardo di un poeta che molto ammiravo e la cui poesia tante volte mi aveva chiamato al dialogo, e a quella prossimità silenziosa e attiva che è la lettura, o l’interpretazione. Quando giungemmo dinanzi al Tiziano di Amor sacro e amor profano, chiuso nella bella antica cornice, luminoso e misterioso, nessuna parola sopravvenne a rompere il silenzio. Nessun commento. Sostammo più a lungo di quanto non avessimo fatto dinanzi ad altre pure celebrate opere. Di quei momenti ricordo, ora, una sorta di suprema congiunzione in atto: la bellezza dell’opera e il silenzio del poeta. Il silenzio di Luzi era diventato il mio silenzio: ogni considerazione sarebbe stata esclamativa, ordinaria, superflua; avrebbe sovrapposto al sentimento della bellezza il velo opaco dell’allegoria, la lente amplificante del critico, la nube retorica della decifrazione. Se ripenso ai tanti incontri con Mario Luzi, ai dialoghi sui poeti che erano anche i miei poeti, come Leopardi e Baudelaire, alle traversate della Val d’Orcia, ai cammini per le vie di Pienza, o di Firenze, o di Siena, quel silenzio dinanzi all’opera di Tiziano mi riappare con una sua forza. E con una sua domanda. Ogni grande raffigurazione dell’amore è un’efflorescenza di immagini, e di pensieri, sul cui fondo c’è il silenzio di un segreto, l’enigma dell’indicibile? Ed è per questo che solo uno sguardo silenzioso può corrispondere alla sua bellezza?» (op. cit. pp. 196 e 197).

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