di Antonio Lucio Giannone
Il sangue degli Orsini (Casale Monferrato, Piemme, 2003) è il secondo romanzo di Emilia Bernardini dopo Antonietta e i Borboni, apparso nel 1998 presso l’editore Capone di Cavallino di Lecce (e ristampato da Avagliano di Roma nel 2005), che ebbe un lusinghiero successo di pubblico e di critica e ricevette significativi riconoscimenti, come il Premio Città di Penne- Opera prima. In quel romanzo si narrava la storia di Antonietta de Pace, una delle figure più note della lotta risorgimentale nel Mezzogiorno, antenata dell’autrice, alternando, come succede anche in quest’opera, la ricostruzione storico-documentaria all’invenzione letteraria.
Diciamo subito che qui l’autrice conferma in pieno le sue doti, le sue qualità di narratrice, già emerse col primo romanzo, in quanto dimostra di saper raccontare una storia, senza mai stancare il lettore, tenendolo avvinto dall’inizio alla fine. Anzi qui il ritmo è ancora più incalzante e le pause descrittive sono ridotte al minimo e comunque sono sempre assai brevi. Anche questo, come il precedente, è un romanzo storico, solo che qui si va ulteriormente indietro nel tempo e dall’Ottocento si arriva fino al Cinquecento. Anche qui inoltre la realtà storica si alterna e si mescola con la fantasia dell’autrice con esiti davvero notevoli.
Ma vediamo più da vicino di che si tratta. Dicevo che qui Emilia Bernardini narra una storia realmente accaduta, una storia, vorrei dire, “naturalmente” romanzesca, che non a caso proprio per i suoi ingredienti principali (amore e morte) attirò l’attenzione soprattutto in età romantica con romanzi (L. Tieck, 1840; F. D. Guerrazzi, 1844) e racconti (Stendhal, 1837). Poi alla fine dell’800 venne pubblicata una biografia della protagonista, Vittoria Accoramboni (D. Gnoli, 1890), che fu oggetto di un’altra ricostruzione storico-biografica negli anni Trenta del ‘900 (G. Brigante Colonna, 1936). Da allora però più nulla e i nomi dei protagonisti di questa grande storia d’amore, che potrebbere essere emblematici di questo sentimento come quelli di Paolo e Francesca, di Giulietta e Romeo, di Abelardo e Eloisa sono stati dimenticati. Va dato merito perciò a Emilia Bernardini anche di averli riportati alla luce sottraendoli all’oblio in cui erano caduti.