Su Il Lucerniere di Pasquale Geusa

di Pietro Giannini

Come sempre, è lo stesso Autore a darci preziose informazioni per leggere la sua opera (Il Lucerniere, Milella 2019). Il punto di partenza della raccolta è la seguente considerazione (p. 17): “Vivevo ai margini del mondo femminile. Con le donne avevo un rapporto di amore e odio, sentimenti che tra loro si contrastavano e non mi lasciavano tranquillo. E questa battaglia interiore altro non era che il prodotto negativo del mio negativo vissuto”. Poco prima ha detto che egli vedeva davanti a sé “una vita da sfigato”.

L’avvio della composizione è indicato chiaramente nel sonetto n. I: un giorno d’afa estiva, il poeta intento a studiare, quando nell’aria echeggiano le note di una canzone: “Cercando di te” dei Pooh. Da quel momento ha inizio una sequenza di sonetti che si dipana seguendo sia la cronologia (all’estate subentra l’autunno: sonetto XII) sia il cammino sentimentale del poeta: i sonetti II e III seguono ancora lo stimolo della canzone ascoltata, poi abbiamo sonetti incentrati sulla donna ideale (UV-VII), poi sulla ricerca di questa donna, con il racconto di vari momenti in cui il desiderio esplode senza freni e di delusioni derivanti da mancate corrispondenze che suscitano amarezza e reazioni adirate. In tutto questo percorso emerge pian piano un accostamento a pensieri religiosi, aventi come perno Dio o la Madonna o San Francesco, che danno al poeta una certa rassegnazione e pace. 

Detto così, il contenuto di ben 111 sonetti risulta estremamente compresso, ma risponde bene all’intenzione di una “storia sentimentale” che il poeta stesso suggerisce (p. 17). Infatti il titolo del libro, Il Lucerniere, che allude esplicitamente al Canzoniere di Petrarca, designa il poeta stesso come portatore di luce spenta, che spera di trovare qualcuno (qualcuna?) che lo accenda. E, sull’esempio del Canzoniere, segue i vari momenti della sua vicenda che però non è, come nell’illustre modello, lo sviluppo di un amore spirituale, ma il racconto di un più prosaico desiderio di donna che non riesce a trovare uno sfogo; e tale sfogo non è una vaga aspirazione mistica, ma un più concreto desiderio sessuale. Certo, non mancano atteggiamenti edificanti, come quando discetta sulla distinzione tra la donna degna di “infinite lodi” e la femmina “diabolica sempre nelle intenzioni” (X), ma è vero che il suo sguardo “errava…sotto una gonna/ colla spe’ che l’abito in alto vada” (IX): insomma nella speranza di una scena come quella famosa di Marilyn Monroe. Ed altre volte egli si lamenta che “di stretta copula ero io deficiente” (XLVII). Nel suo combattimento tra pruriti più o meno adolescenziali e castità obbligata (non cercata!) il poeta incontra il conforto della religione sì che alla fine egli “da arrapato volta in rassegnato” (LI).

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