di Gianluca Virgilio
Un verso di Paul Celan, E’ tempo che la pietra fiorisca, fornisce il titolo alla seconda raccolta poetica di Antonio Prete, Se la pietra fiorisce, Donzelli Editore, Roma, 2012, pp. 118, che giunge a cinque anni dalla pubblicazione di Menhir (Donzelli, 2007) con cui lo studioso di Copertino aveva esordito come poeta. L’opera del narratore, saggista e traduttore continua, dunque, nella forma della meditazione poetica, inframmezzata in questo caso da undici brevi prose che si aprono entro la scansione dei versi.
Ora, chi scrive, dovendo scegliere, nello spazio breve della recensione, se dare un ragguaglio sommario dell’intera raccolta, oppure commentare una meditazione del poeta e proporla come specimen dell’insieme, preferisce seguire questa seconda strada. E che Prete voglia proporci una meditazione poetica, secondo la formula principale della sua riflessione critica su Leopardi, il pensiero poetante, lo si capisce bene già nelle parole del primo componimento – sul quale, dunque, mi soffermerò – intitolato Dissonanza: “Disloca il punto d’osservazione, / porta il pensiero fino all’orlo di una nuvola, / e ancora più oltre, di là dal cerchio lunare: …”.
La raccolta poetica si apre con l’invito al lettore a dislocare lo sguardo, guadagnando un luogo abbastanza alto da consentire una visione quanto più ampia è possibile del mondo; intendendo per mondo tutti gli infiniti universi nei quale sembra riflettersi la storia della terra, in un gioco di rispondenze (così si intitola la poesia di p. 75) che rimanda il lettore dal cielo alla terra, e viceversa. “Congiungere il visibile e l’estremo” (p. 105), come vedremo, sarà una delle costanti della poesia di Prete.