di Antonio Errico
Alla fine del suo saggio intitolato Serendipità, Telmo Pievani scrive che non bisogna credere a quelli che si lanciano in predizioni su cosa inventeremo fra vent’anni, su cosa resta da indagare nelle discipline, su quanto siamo vicini al limite del conoscibile, sulla fine della scienza e della scoperta. Soltanto due generazioni fa, dice, nessuno aveva previsto molte di quelle cose che sono state scoperte negli ultimi cinquant’anni. Allo stesso modo, coloro che verranno “faranno scoperte sconcertanti e spiazzanti che andranno oltre ogni nostra attuale immaginazione”.
Allora, quello che adesso per noi è perfino inimmaginabile, fra vent’anni o trenta o cinquanta, potrebbe diventare realtà, condizione quotidiana, abitudine, anche. Magari si avrà l’impressione che sia sempre esistito, come accade a noi, se non ci pensiamo, quando premiamo l’interruttore della luce, o apriamo il rubinetto dell’acqua calda, o tiriamo fuori il cellulare dalla tasca per rispondere a chi ci chiama, per chiamare chi vogliamo. Lo si fa come se la luce elettrica ci sia sempre stata, come se da un rubinetto sia sempre venuta fuori l’acqua calda, come se avessimo sempre avuto il cellulare in tasca, e dobbiamo soffermarci anche più di un istante per ricordare che abbiamo fatto la fila alla cabina telefonica perché il telefono non ce l’avevamo nemmeno in casa. È vero: noi non possiamo nemmeno immaginare che cosa sarà inventato fra vent’anni. Che cosa inventerà quel bambino che adesso di anni ne ha sei, quel ragazzino che fa la scuola media, quell’altro che va alla superiore. Scopriranno universi, forse, sveleranno misteri, porteranno la tecnologia a livelli ora impensabili di perfezione, saranno in grado di curare malattie che adesso ci fanno terrore, inventeranno macchine per arrivare là dove adesso non abbiamo nessuna possibilità di arrivare. Non c’è alcun dubbio che ogni scienza includa un limite, che probabilmente lo includa ogni tecnologia. Ma quale sia il limite non si può sapere. Quello che si sa è che proprio il limite rappresenta il motivo dell’incessante ricerca della scienza. È sempre da un limite che si comincia o si ricomincia, graffiando ogni volta la muraglia dell’ignoto. Che cosa scoprirà, che cosa inventerà, chi adesso è bambino, ragazzo, tra venti, trent’anni, quando diventerà un giovane uomo, un adulto, quando avrà acquisito conoscenze e competenze che saranno diverse da quelle che hanno avuto coloro che sono venuti prima di lui, che andranno oltre il limite del sapere di questo tempo. Talvolta pare impossibile che si possa inventare ancora qualcosa, che si possa scoprire ancora qualcosa. Ma forse pensavano esattamente così gli ominidi che scoprirono il fuoco, quegli altri che inventarono la ruota. Forse pensavano che oltre non si poteva andare, che il fuoco e la ruota fossero l’ultima scoperta possibile, l’ultima possibile invenzione.