Poesia metamorfica di Raffaele Carrieri

di Luigi Scorrano


Raffaele Carrieri in una foto di Dabbrescia (tratto da Minerva News)

Si potrebbe dire che quella di Raffaele Carrieri è una poesia cantabile; ha spesso ritmo di canzonetta, il suo verso breve e le sue catene versali sembrano fatti ad arte per suscitare un riscontro sonoro o per produrre uno spontaneo scivolare verso la  parola modulata. Un inganno il crederlo, e a tentarne la verifica il disinganno sarebbe acerbo. La musica, se c’è, è tutta interna al verso o alla singola parola: si potrebbe addirittura immaginare d’aver tra le mani più che un libro di versi un piccolo dizionario e di attribuire ad ogni parola una melodia – o solo un frammento di melodia – conchiusa in sé ma che si lasci dietro, una volta tentata, l’impressione d’essere un lacerto di melodia salvato da una composizione perduta ed irrecuperabile. Anche parlare di melodia sarebbe, forse, troppo. È il ritorno alla mente di una o due note scampate ad un naufragio (quello dell’esistenza, se si vuole) e galleggianti ancora, e ancora in pericolo, tra i marosi che quel naufragio testimoniano. Scaglie di parole, brillanti come scaglie di mica, lucide e precise ma graffiate qua e là o recanti tracce d’incisi disegni a malapena ricostruibili in qualche loro parte.

Una poesia che aspira a farsi pura immagine ricostruita, con la memoria, ma senza la nostalgia, dell’origine. Essa produce esiti tra i più alti del Trovatore, il libro di Carrieri che è certo il suo più compiuto e suggestivo. Basti un esempio: «Il vento ci somiglia / E pure l’eco / Dentro la conchiglia / Che rimormora lo spreco / Delle maree» (Il vento ci somiglia). Incavicchiato nell’apparente nonsense di certe espressioni, che sembrano generarsi dal suono ed esserne il puro riflesso, giace un pensiero che rode, la nostalgia d’un tempo sprecato dalla – si direbbe – corrosione della quotidianità (il ciclo delle maree monotono, uguale). In questa poesia anche l’espressione più disarmata ha un doppiofondo ora svelato dall’evidenza degli oggetti (es. Nel forno del fornaio), ora affidato ad un sentenziare libero da ogni peso (es. Maria quieto mi tiene).

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