di Antonio Errico
Dice Antonio Pennacchi che da quando ha vinto lo Strega con Canale Mussolini non riesce a scrivere più. Il successo lo ha frastornato, bloccato.
Poi ci sono scrittori che invece confezionano prodotti soltanto per vincere qualcosa, piegano la scrittura al trend, alle esigenze del mercato, spesso riscaldano una minestra avanzata, vendono libri come saponette, patrocinati da potenze editoriali che stringono d’assedio le librerie.
Scritture di stagione, di cui nessuno si ricorda appena finita la stagione. Per scrivere Horcynus Orca, Stefano D’Arrigo ci ha messo vent’anni: una stesura nella seconda metà degli anni Cinquanta, un lavorio di correzioni e varianti per tutti gli anni Sessanta, la pubblicazione nella metà degli anni Settanta.
Un capolavoro che non passerà mai di moda, perché non è mai stato di moda.
Vincenzo Consolo si dannava per settimane alla ricerca di una parola: perché doveva essere esattamente quella e non un’altra, non poteva essere un’altra, perché il pensiero, il suono, il ritmo pretendevano quella parola, insostituibile, assoluta. Consolo ha sempre avuto pochi lettori, eppure è tra i più grandi scrittori che il Novecento ha generato.
Di Joyce è proverbiale la lentezza nella scrittura. Si racconta che un amico, capitato un pomeriggio in casa sua, lo abbia trovato in stato di totale abbandono, con la testa riversa sul tavolino. Allora l’amico gli domanda cos’abbia. Lui gli risponde che aveva scritto sei parole. Allora l’amico gli dice: ma come? Per te sei parole sono un record. E James: sì, ma non so in che ordine vanno.