di Cosimo Scarcella
E’ trascorso più di mezzo secolo dall’anno 1968: anno della «contestazione giovanile» generale e così radicale che preconizzava imminente la grande «rivoluzione culturale», che avrebbe posto fine a ogni ordine costituito e avrebbe dato decisamente l’avvio per l’instaurazione di una più nobile linfa culturale e di una più equa e giusta strutturazione sociale. Si rimane alquanto perplessi davanti il fatto che i maggiori e più assidui e visibili protagonisti di tutto quel fermento di opinioni e discussioni – talora fondate e ben articolate, talora suggestive ed astratte, talora fuorviate da preconcetti e ideologie – siano stati donne e uomini ora settantenni e allora, quindi, più o meno ventenni. Sembra anche particolarmente significativo il fatto che quasi tutti questi protagonisti dei mezzi di comunicazione occupino attualmente posti di rilievo nei campi della politica, dell’economia, dell’accademia: insomma quelli che in genere sono considerati (e sono di fatto) posti di comando e di governo: destinati, cioè, a imprimere la direzione alla storia dell’uomo e a irrompere nel corso del divenire della stessa natura biologica e fisica. Posti di responsabilità governativa – ovviamente tengono a puntualizzare e sottolineare – e non di potere! Almeno così s’affannano a puntualizzare. Cioè, posti di servizio verso l’uomo e la natura e non di dominio e di sfruttamento, di spirito di solidarietà umana e sociale e non di tatticismo di gestione aziendale e finanziaria.
Si tralascia di avanzare considerazioni nei confronti del mondo delle religioni: voluminosi compendi di articoli di fede proposti e più spesso imposti; strutture granitiche di chiese saldamente organizzate spesso in atteggiamento di autodifesa; dialogo da tutte ostentato, ma da quasi nessuna desiderato e tanto meno realizzato; connubi ibridi con i vari poteri dominanti, ovviamente – almeno a loro dire – al fine di “salvaguardarli” dall’errore e “guidarli” per la strada giusta. Tutto, certamente, nella fedeltà allo spirito della loro specifica vocazione e della loro peculiare missione, ma anche in conformità alla concretezza quotidiana imposta loro dalla necessità di agire nel tempo e nella storia; anche se non sempre, forse, hanno difeso, garantito e testimoniato le priorità vere dell’integralità delle dimensioni della persona umana. Si tralascia questo discorso, in quanto si oltrepasserebbero i limiti dell’antropologia e della sociologia e si sfonderebbe nel labirintico terreno della teologia e dell’etica. E il nostro interesse, invece, rimane sul più modesto e concreto campo dell’uomo storicamente vivente nelle proprie particolari irripetibili dimensioni individuali, che sono – almeno per noi – la più pressante urgenza per l’esistenza dell’uomo.