di Rosario Coluccia
Marco Maggiore si è laureato a Lecce, ha fatto il dottorato di ricerca a Roma, ha vinto borse di studio in Francia e in Germania, attualmente lavora, ancora da precario, a Firenze all’«Opera del Vocabolario Italiano», Istituto CNR dove si progetta ed elabora uno straordinario vocabolario della lingua antica, il «Tesoro della Lingua Italiana». È lettore assiduo di questa rubrica. Qualche settimana fa mi ha scritto di aver ascoltato in una stazione il seguente annunzio: «invitiamo i signori passeggeri a disporsi sul marciapiede in base alla posizione della carrozza relativa al livello di servizio acquistato». L’altro giorno ero a Firenze, in attesa di un treno, ho ascoltato il medesimo annunzio. Mi sono chiesto se l’avviso poteva riguardarmi, non capivo bene; in particolare mi era difficile capire cosa dovevo fare per dispormi sul marciapiedi in posizione corretta, qual era il “livello di servizio acquistato”. Io avevo comprato un biglietto che indicava la carrozza (n° 3) e il posto (n° 5) dove sedere una volta salito sul treno, cos’era mai “il livello di servizio”? Poi ho capito, l’annunzio significava, più o meno: «Caro passeggero, controlla la tua prenotazione; verifica sui monitor dove si ferma la tua carrozza del treno che devi prendere, aspetta sul marciapiede in quel punto». Per maggiore chiarezza, si sarebbe potuto aggiungere: «Caro passeggero, questo annunzio vale solo per chi ha un posto prenotato».
Un altro episodio. Carlo Sempi insegna matematica nell’università del Salento; ha interessi vari, è attratto dalla letteratura, non solo italiana. Viaggiando in treno da Vicenza a Treviso ha ascoltato quest’avviso: «il pubblico è pregato di tenere pronto il “titolo di viaggio” per le “operazioni di controlleria”». Ne è rimasto colpito, aspirerebbe a un uso chiaro e funzionale della lingua italiana. Osserva: «alle mie rimostranze per l’italiano dell’annuncio, il capotreno mi ha risposto risentito che il termine “controlleria” fa parte del linguaggio delle ferrovie e che, del resto, quello che noi chiamiamo treno si dovrebbe chiamare “materiale rotabile”»! In effetti sì, sono parole e locuzioni della nostra lingua e a volte il linguaggio ha bisogno di ricorrere a termini tecnici. Ma perché il fumoso “operazioni di controlleria”? Esiste già e si capisce molto meglio “controllo dei biglietti” (del resto la traduzione inglese dei cartelli scritti e degli annunzi orali reca ticket control, in italiano proprio “controllo dei biglietti”). E chi mai salirebbe su un veicolo definendolo “materiale rotabile”? Non è meglio, semplicemente, “treno”?
Non sono gli unici casi il cui la lingua usata nelle comunicazioni ferroviarie suscita perplessità. Una volta sui treni e sugli autobus si invitava a “obliterare il biglietto”, l’operazione andava fatta con una apposita macchinetta (spesso inceppata) che si chiamava “obliteratrice”. Ora il verbo “obliterare” (poco noto ai viaggiatori) è stato sostituito da uno più usuale, meglio così. Nel sito www.trenitalia.com si legge un comunicato che offre indicazioni su «Utilizzo, convalida e validità dei titoli di viaggio [non è meglio, semplicemente, “biglietti”?]»: «Convalida. I biglietti [così va bene] devono essere convalidati [così va bene] prima della partenza del treno [così va bene] utilizzato nella località d’inizio del viaggio mediante le validatrici [così va bene]. In caso di mancanza o non funzionamento di tutte le validatrici di stazione il viaggiatore deve richiedere la convalida dei biglietti presso la biglietteria oppure, in caso di mancanza o chiusura di biglietteria, deve rivolgersi di propria iniziativa al personale di bordo all’atto della salita in treno. In tal caso la convalida avviene senza dover corrispondere alcuna maggiorazione».
Ancora. A coloro che di notte viaggiano in cuccetta o in vagone-letto le Ferrovie dello Stato forniscono per coprirsi gli «effetti letterecci», sottilissime lenzuola di un materiale che non so definire. Un documento di Trenitalia, Direzione Ingegneria Sicurezza e Qualità di Sistema, Tecnologie Materiale Rotabile, definisce esattamente «i requisiti tecnici e qualitativi ai quali devono essere conformi i prodotti costituenti gli effetti letterecci, destinati alla formazione dei letti di carrozze letto e di cuccette “Comfort” Trenitalia». Continuando a leggere, si capisce che gli effetti letterecci sono costituiti, a seconda dei casi, da Materasso, Cuscino, Piumino, Copripiumino, Lenzuoli, Federe, Coperta.
Cercando in rete, si scopre che l’espressione effetti letterecci ricorre in molti altri casi: in una disposizione della «Legione Carabinieri Lombardia», in un decreto firmato dal Vice Direttore Generale del Ministero della Difesa, in una nota redazionale di «Tecnica Ospedaliera» (pubblicazione specializzata destinata agli addetti ai lavori) che riguarda la « Gestione di biancheria ed effetti letterecci», in un bando del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del fuoco, con annesso Modello di domanda di partecipazione – Fornitura effetti letterecci (lotto 1: lenzuola e federe; lotto 2: brande a gambe ribaltabili).
E dunque: Trenitalia, Carabinieri, Ministero della Difesa, Ospedali, Ministero dell’Interno, Vigili del Fuoco. L’espressione effetti letterecci, inconsueta per i parlanti comuni, corre indisturbata nell’universo della burocrazia, indifferente ad ogni sforzo di accostamento alla lingua che noi usiamo quotidianamente. Tutto questo non avviene per cattiva volontà, avviene per abitudine e per superficialità. Siamo sommersi da quella che Italo Calvino, in un brano giustamente famoso, definì una volta «antilingua»: antilingua è l’abitudine di ricorrere a parole che sembrano solenni, più elaborate rispetto all’uso corrente, che per questo appaiono preferibili. Ma è vero esattamente il contrario. Dobbiamo usare parole facili e comprensibili, migliorerà l’efficacia della comunicazione.
Sergio Lubello, un salentino che insegna linguistica italiana all’università di Salerno, ha analizzato a fondo il cosiddetto «burocratese», la lingua artificiosa e spesso oscura delle scritture amministrative. Dagli anni Novanta del secolo scorso si insiste sul tentativo di semplificare il burocratese, ma il raggiungimento dell’obiettivo è ancora lontano, la malattia continua a fare vittime e quasi non ce ne accorgiamo. Stefano Cristante, che il lettori di «Nuovo Quotidiano» conoscono bene, mi ha mandato un sms: «volevo chiederti di spendere qualche parola sulle parole usate in modo sbagliato dagli stessi operatori dell’informazione. Il primo esempio che mi viene in mente è “eradicare gli ulivi”, espressione che non significa nulla perché si eradica un batterio, non un albero. E questo succede nella terra della xylella (e ho detto tutto)». Ha ragione. Ma siamo in buona compagnia (anzi: in cattiva compagnia). A Bologna, legato ai tronchi degli alberi di un viale centrale, qualche tempo fa si poteva leggere l’invito a lasciar libero il terreno circostante per «eradicazione ceppi». Si sarebbe potuto scrivere, semplicemente, che gli alberi dovevano essere tagliati e i ceppi sradicati.
Non voglio essere frainteso. Non ce l’ho con Trenitalia, viaggio spesso in treno, è comodo, si può lavorare, si guarda il paesaggio. Ma i dirigenti debbono parlare con i linguisti, l’obiettivo di un linguaggio semplice riguarda tutti. Se ne son resi conto alcuni comuni e alcune regioni, gli avvocati, i magistrati, i giornalisti, ecc. Tutti dialogano con i linguisti, l’obiettivo è comune: usiamo un linguaggio semplice, comprensibile a tutti, la comunicazione (linguistica) guadagnerà in efficacia (e anche in precisione).
Non ce l’ho con Trenitalia, assicuro. I treni sono decisivi per lo sviluppo del sud. La prima ferrovia italiana fu la Napoli-Portici, inaugurata nel 1839, sotto i Borboni, la cui amministrazione non era un modello di efficienza. Poi il sud ha perduto il primato. «Nuovo Quotidiano» del 1° giugno torna a denunziare i problemi enormi di comunicazione (ferroviaria) che affliggono la nostra regione: «Prima il Frecciarossa per Lecce soppresso, poi l’esclusione di Foggia dall’alta velocità e, per finire, le proteste anche di Barletta esclusa dai collegamenti rapidi sia con Roma che con Milano». Il tempo che si impiega oggi per raggiungere da Roma o da Milano le nostre terre è lo stesso che si impiegava nei decenni di fine ottocento, subito dopo l’unità d’Italia. E non parliamo dei collegamenti con la Campania o con la Sicilia. Le classi dirigenti hanno sottovalutato la questione, si sono mostrate inadeguate. Abbiamo avuto ministri e sottosegretari, perfino ministri dei trasporti, nulla. Coloro che si candidano a governarci e ad amministrarci capiranno oggi, finalmente, l’importanza dei treni?
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 11 giugno 2017]